Tra le novità che da qualche mese caratterizzano lo smaltimento dei rifiuti ce n’è una che impatta direttamente sulle imprese: la possibilità di conferire i cosiddetti rifiuti assimilabili ai rifiuti urbani a soggetti privati (anziché alle care, in tutti i sensi, vecchie multiutility) che certificano l’avvio al recupero di questi stessi rifiuti per l’ottenimento di una proporzionale riduzione della tariffa, la Tari. Un’opzione che di fatto le imprese non hanno però potuto esercitare. Innanzitutto, per una questione di termini. Quest’anno, ad esempio, la scelta poteva essere fatta solo entro il 31 maggio, quando però la stragrande maggioranza non avevano ancora deliberato in merito alla Tari stessa.
Poi per una questione di differenze qualitative dalle imprese: mentre alcune specifiche attività industriali sono escluse dall’applicazione della Tari, le aziende artigiane che operano negli stessi settori non possono effettuare la medesima scelta. Infine, l’impossibilità di optare per un affidamento solo parziale dei rifiuti da conferire ai privati.
Di fatto, viene quindi confermato il regime di monopolio in cui continuano ad operare le multiutility.
“Riteniamo – commenta Alberto Papotti, segretario provinciale di CNA – che la legislazione attuale non recepisca quello che è il senso delle direttive europee da cui dovrebbero scaturire: innescare in comportamento virtuoso nello smaltimento dei rifiuti, per dar vita nei fatti a politiche relative alla cosiddetta economia circolare in grado di fare bene all’ambiente senza farlo a spese delle imprese”.
La loro parte – continua la nota di CNA Modena – devono farlo anche le amministrazioni comunali, chiamate ad elaborare regolamenti comunali che permettano alle imprese di poter esercitare le scelte previste, anche in modo parziale. Regolamenti che, in molti casi, sembrano disattendere alcuni importanti chiarimenti che il Ministero per la Transizione ecologica ha diffuso con due circolari datate 12 aprile e 14 maggio 2021.
“Abbiamo già raccolto diversi pareri legali – continua Papotti – che confermano le indicazioni ministeriali che non sono state recepite a livello territoriale, anche nella nostra provincia, ovvero che le lavorazioni artigianali, analogamente a quanto avviene per le lavorazioni industriali, siano da considerarsi prevalentemente produttive di rifiuti speciali e, quindi da sottrarre all’applicazione della Tari.
Si è posta inoltre l’attenzione sulla questione della durata quinquennale nella scelta delle imprese che intendono conferire al di fuori del servizio pubblico i propri rifiuti urbani. Un riferimento temporale che, come evidenziato dall’Antitrust, non può in alcun modo essere considerato vincolante. Come non può essere considerato un obbligo per le imprese quello di indirizzare la scelta verso il servizio pubblico o privato per tutte le tipologie di rifiuti urbani. Questa ipotesi non avrebbe alcun fondamento nella norma né alcuna logica anche rispetto alla necessità di orientare le imprese verso le modalità di conferimento più efficienti e più in linea con gli obiettivi ambientali, lasciando alle imprese di conseguenza la libertà di decidere di servirsi per alcune frazione del servizio pubblico e per altre del mercato.
“La definizione di rifiuti urbani – conclude il segretario della CNA modenese – deve quindi essere intesa esclusivamente ai fini degli obiettivi di preparazione per il riutilizzo e riciclaggio nonché per le relative norme di calcolo, non interpretata per favorire a spese delle imprese le multiutility di cui i comuni stessi sono azionisti”.