Nell’ambito dell’attività di contrasto al cyberterrorismo, a seguito di un’articolata attività d’indagine avviata dal Compartimento Polizia Postale e delle Comunicazioni di Perugia in collaborazione con le D.I.G.O.S. territoriali, scaturita dai riscontri ottenuti mediante un account di copertura inseritosi sulla piattaforma social WhatsApp, sono stati individuati tre gruppi sui quali gli utenti espressamente invitati interagivano con messaggi di propaganda e sostegno dello “Stato Islamico”.
L’esame degli account appartenenti a tali gruppi WhatsApp, ha evidenziato la presenza di un’utenza mobile italiana, che si è accertato essere in uso ad un ventiquattrenne B.M. di origini tunisine, regolarmente soggiornante a Parma e titolare di contratto di lavoro come operaio edile.
Le investigazioni informatiche, sviluppate da personale del Compartimento Polizia Postale e delle Comunicazioni di Bologna in concerto con le D.I.G.O.S. di Bologna e Parma ed estese anche ad altri spazi internet, rilevavano che l’uomo, intestatario di un profilo Facebook, manifestava anche su detto social network apprezzamenti (like) a pagine con riferimenti allo Stato Islamico e alla lotta armata.
Nel tempo l’acuirsi della pericolosità delle condotte del giovane, anche in considerazione dei contenuti dei suoi profili social, conduceva la Procura della Repubblica di Bologna ad emettere un decreto di perquisizione personale, locale e informatica nei confronti del cittadino extracomunitario.
Durante le operazioni di perquisizione veniva sequestrato un cellulare unitamente a corposo materiale cartaceo rivelatosi di notevole interesse probatorio.
L’analisi, eseguita sul dispositivo cellulare, evidenziava la presenza di migliaia di immagini e decine di video di propaganda del sedicente Stato Islamico con foto che ne ritraevano alcuni dei membri più importanti, scene di guerra nei territori medio orientali ed esecuzioni.
Presenti anche manuali di sopravvivenza in scenari di guerra, dove si trovavano illustrate, tra l’altro, tecniche utili per liberarsi da un ammanettamento, modi per occultare un cadavere, elencazione di componenti per fabbricare bombe “Molotov” o modalità di disarmo e difesa da minacce armate etc..
Dalla disamina del corpus dei documenti rinvenuti emergevano elementi a sostegno di una possibile attività preparatoria all’organizzazione di azioni di carattere terroristico o comunque di attività propedeutiche allo scopo; nello specifico, si rinveniva numeroso materiale chiaramente volto al proprio auto addestramento, a commettere atti di terrorismo, in particolare lezioni relative a corsi di addestramento su elementi esplosivi, nonché immagini di un manuale operativo sulla realizzazione di bombe incendiarie.
Gli accertamenti informatici effettuati sui dispositivi mobili in uso all’indagato confermavano, inoltre, un suo coinvolgimento nei gruppi di messaggistica istantanea d’ispirazione jihadista.
L’epilogo delle indagini vedeva emettere dalla Procura Distrettuale di Bologna un “provvedimento di fermo nei confronti di indiziato di delitto” a carico di B.M. per il reato di “addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale” previsto e punito dall’art. 270 quinquies del codice penale.
Ieri, al termine della requisitoria del Pubblico Ministero dott.ssa Antonella Scandellari, il Tribunale di Bologna, con una sentenza che per la prima volta vede applicare la pena prevista dal reato di “auto-addestramento all’attività con finalità di terrorismo anche internazionale”, ha condannato B.M. a 3 anni e 6 mesi di reclusione.