Decreto Zan e riforma. Lettera aperta dell’assessora alle pari opportunità del Comune di Reggio Emilia Annalisa Rabitti: “Impedire che il pregiudizio renda le persone bersaglio di odio sessista e razzista”.
Il testo:
“Il 27 luglio verrà finalmente discussa in Parlamento la proposta di legge ‘Modifiche agli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale, in materia di violenza o discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere’, meglio conosciuta come Ddl Zan.
La finalità della legge è impedire che il pregiudizio renda le persone bersaglio dell’odio sessista e razzista, perciò l’approvazione del Ddl Zan fa parte del cambiamento che vogliamo, nella consapevolezza che i diritti non vengono mai acquisiti una volta per sempre, che occorre portarli al centro delle agende politiche ogni giorno, con impegno e responsabilità.
La proposta è stata presentata il 2 maggio 2018, ma è una legge che aspettiamo da 25 anni. Era il 1996 quando il deputato Nichi Vendola presentò la prima proposta di legge su questo tema, mentre nel 2006 il Parlamento europeo ha chiesto a tutti gli Stati membri di attivarsi e legiferare su questa materia. Nell’Ue tutti i grandi Paesi si sono adeguati, l’Italia non l’ha ancora fatto: tutte le volte l’iter è stato interrotto lasciando un vuoto legislativo che ha silenziosamente calpestato la dignità delle persone.
Reggio Emilia in questi anni ha lavorato molto su questo tema: nel 2015, l’Amministrazione comunale ha attivato il Tavolo interistituzionale per il Contrasto all’Omotransnegatività e per la promozione dei diritti delle persone Lgbt, che impegna su questo tema le principali istituzioni della città ed è riconosciuto a livello nazionale come un esempio ed una buona pratica. Il Tavolo porta avanti un lavoro importante per la lotta alle discriminazioni, un lavoro che rimane necessario, prezioso ed importante, del quale io orgogliosamente ho raccolto il testimone.
Credo che la politica per chiamarsi tale abbia un compito: quello di proteggere i diritti di tutte le persone, soprattutto delle più fragili, quelle che di questa tutela hanno bisogno, anche e soprattutto quando si tratta di una minoranza. Anche di una sola persona.
Reggio Emilia può e deve continuare ad essere una città che anticipa le leggi e fa dei diritti delle persone uno dei suoi principi fondamentali. La nostra è una città che lavora contro la violenza e le discriminazioni, come quelle che la popolazione Lgbti subisce quotidianamente. Violenza che non è solo fisica, violenza che spesso è sottile, lavora sotto traccia, ma è altrettanto pericolosa: violenza psicologica, mobbing, bullismo, cyberbullismo, difficoltà di accedere al lavoro, ecc.
In questi giorni è in corso a livello nazionale un confronto politico e sociale, diverse posizioni sono state avanzate concentrandosi su un concetto: “identità di genere”. Il genere cammina di pari passo con i ruoli sociali, che di naturale hanno ben poco, mentre hanno molto a che fare con la cultura e la storia. Il confronto diventa sterile se ci si sofferma sul termine “genere” senza prendere in considerazione i ruoli sociali, che la società si aspetta abbiano maschi e femmine; senza riflettere sul fatto che l’identità non è fissa e immutabile nel tempo, ma è in continuo divenire; se non ci diciamo che i ruoli sociali, che ci vengono assegnati alla nascita sulla base del sesso anatomico, sono da superare, perché non esiste un solo modo di essere femmina e di essere maschio.
Il dibattito che si è creato può diventare un’occasione per rimettere al centro il valore della libertà di decidere di essere chi siamo e di scegliere cosa fare con i nostri corpi. Un costante lavoro culturale potrà aprire la porta al cambiamento che vede nel rispetto delle persone il suo fondamento.
Sono assessora alle Pari opportunità. Ma sono anche Annalisa, donna etero, sposata, con due figli, vent’anni di convivenza. La mia famiglia, all’apparenza e per la legge, è una famiglia perfetta, sicura e stabile. Ebbene, non lo è.
Credo che quando si parla di famiglia si parli di un viaggio, e noi siamo in viaggio. Siamo passati da mari complessi, abbiamo affrontato i cambiamenti che ogni coppia affronta, e lo abbiamo fatto con fatica, abbiamo litigato e ci siamo riconciliati centinaia di volte.
Oggi siamo insieme in un modo bello e nostro, che non era scontato e che è profondamente diverso dal modo con il quale abbiamo iniziato. La nostra è una famiglia complessa ed imperfetta. Meravigliosa, sempre in viaggio, e quindi vera.
Sabato, in piazza Prampolini, ho visto cartelli che giudicavano, ho letto frasi con grandi certezze, ho sentito la pericolosa attitudine al giudizio. Ma quale persona può dichiarare una famiglia come la mia “giusta” e invece giudicare “sbagliata” o addirittura non famiglia, quella ad esempio che ha creato una mia amica e collega con un’altra donna, ora che aspettano con gioia infinita una figlia? Esiste forse un’unità di misura per decidere quale sia vero amore o quale sia o non sia una famiglia? Perché la parola famiglia non è una parola astratta. Esiste la vita, esistono le persone e le loro storie, esiste l’amore.
Solo eliminando i pregiudizi, saremo capaci finalmente di comprendere il senso delle differenze e la loro importanza. Eliminando i cartelli e ripartendo dalle persone, ognuna con un nome e cognome, una propria storia, un’anima.
In una illuminante chiacchierata con l’amico Paolo Cendon, importante civilista e giurista, creatore della legge sull’amministratore di sostegno e del testamento biologico, mi colpì una frase potente che mi disse: “L’altezza di una nazione si misura dall’altezza delle sue leggi”.
Le leggi ricadono sulle vite, sulle persone.
Credo che questa sia una legge che mancava al nostro Paese, una di quelle leggi attese per troppo tempo, che finalmente potremo mettere al fianco delle tante leggi importanti che ha la nostra Italia”.
Annalisa Rabitti
assessora alle Pari Opportunità a Cultura, Marketing territoriale e Città senza Barriere