La giornata dell’ingresso del Vescovo Erio a Modena ha inizio dal cimitero cittadino di San Cataldo, dove, dopo una preghiera in cappella, ha visitato la tomba di mons. Lanfranchi, quella provvisoria in attesa della traslazione nella Cripta della cattedrale.
“Siamo in un luogo che ci svela il senso della vita – ha detto il vescovo – e come restituire questa nostra vita ricca di doni. E’ il vangelo che ci guida, perché è sempre gioia, anche quando è una gioia mesta, perché la vita supera la morte”.
Dopo la preghiera davanti al predecessore, il primo fuori programma della giornata. C’è una coppia che ha perso un figlio, giovane, e mons. Castellucci accoglie il loro dolore e prega insieme a loro.
La tappa successiva è al Centro di accoglienza diocesano Porta Aperta. Ci sono Eros Benassi, direttore della Caritas Diocesana, Franco Messora, il diacono direttore del Centro, numerosi volontari della mensa, medici dell’ambulatorio, Avvocato di Strada, ma soprattutto gli ospiti, con cui il vescovo si ferma, prima di entrare. Alcune parole sul funzionamento del centro, che offre cure e farmaci, anche ai rifugiati del progetto Spraraa, prima della registrazione nel Servizio Sanitario nazionale, docce, alloggio per una trentina di persone, accompagnamento per le pratiche burocratiche e legali.
La preghiera e la benedizione sono davanti alla Croce di Lampedusa, posta nel cortile del centro, fatta con relitti delle barche su cui le persone fuggono dalle guerre in cerca di una speranza. “Una croce che porta scritti tanti drammi, di chi fugge dalla violenza, dalle guerre, – ha commentato Castellucci – e che come la Croce di Cristo è un passaggio verso la vita. Questo è un luogo di vita, raccoglie le croci delle persone che qui passano, le loro fatiche, le sofferenze, e le accompagna a vivere. E’ un segno di resurrezione: preghiamo perché la diocesi di Modena si faccia provocare da questo segno di giustizia, prima ancora che di carità. La carità infatti è il nome stesso di Dio, e in questo luogo si accompagna alla giustizia. L’accoglienza è la prima fase, poi serve un cammino di integrazione”.
“Ho qualche sogno – ha risposto ancora il vescovo a chi gli chiedeva del futuro della Chiesa modenese – ma Modena è una grande diocesi cammina bene da tempo, ho sentito la voglia di collaborare. Cammineremo insieme”.
Don Ilario Cappi, parroco, e il dott. Ivan Trenti, direttore generale del Policlinico, hanno accolto mons. Erio Castellucci al suo ingresso nella struttura modenese. “Migliore dentro di quanto potrebbe apparire fuori – ha affermato il dott. Trenti – anche a causa del terremoto”.
In cappella, don Ilario ha ringraziato il vescovo della visita e dell’attenzione per i malati, informandolo sulla struttura: “I posti letto sono 690, e aumenteranno alla fine della ristrutturazione, 80 i posti di day hospital. Il personale conta oltre 2500 operatori, 450 sono i medici, 1500 infermieri e altri operatori sanitari. ma i centro di questa famiglia sono gli ammalati, con la loro storia di dolore e di speranza, e le loro famiglie. Ci sono anche numerosi volontari, organizzati in associazioni, che si prendono cura dei degenti, e volontari pastorali, che aiutano me, don Antenore e suor Monica Le chiediamo, amico vescovo Erio, di aiutarci e sostenerci in questo impegno”.
Il vescovo ha aperto con un grazie il suo saluto, trasmesso in diretta Tv in tutti i reparti di degenza del Policlinco: “Parole di ringraziamento per quello che siete, quello che fate e come lo fate”.
“Il luogo sul quale tu stai è suolo santo” disse Dio a Mosè (Es 3,5), invitandolo a togliersi i calzari in segno di rispetto. Per noi cristiani il “suolo santo” è Gesù Cristo, il Santo di Dio. E Gesù è presente nell’eucaristia, nella comunità, nelle persone disagiate. È lui che ha detto: “ero malato e mi avete visitato” (Mt 25,36).
L’Ospedale è un suolo santo: qui si incontra il Signore che soffre ed è visitato, che è fragile e viene curato. Non possiamo fare della poesia o della retorica in questo luogo: possiamo solo toglierci i calzari, muoverci in punta di piedi, dire grazie a coloro che si prendono cura dei malati – medici, infermieri, personale – e a chi li viene a visitare. E possiamo ricordare, umilmente, che anche dalla malattia può sprigionarsi un raggio di luce: la testimonianza del valore della vita oltre il mito dell’efficienza, il risveglio di legami affettivi forse sopiti, il richiamo al fatto che la vita terrena supera i confini della morte fisica.
Personalmente, anche per alcune esperienze dirette di assistenza ospedaliera familiare, sono sempre molto ammirato dalle risorse che spesso i malati stessi risvegliano in se stessi e negli altri e dalla dedizione che tanti esprimono verso i malati, trattandoli proprio come un “suolo santo”. E sono sempre toccato dal mistero della sofferenza, dal quale Gesù stesso non ha tolto il velo se non attraversandolo con il suo amore; davanti a questo mistero, il dolore, possiamo solo toglierci i calzari, affidandoci a quel Signore che non è rimasto schiacciato dalla croce, ma ne ha fatto un passaggio verso la gioia piena”.
Don Ilario ha poi ricordato la figura di Anna Fulgida Bartolacelli, testimone di Dio nella sofferenza, nella speranza di celebrarne la beatificazione insieme a mons. Castellucci.
Dopo la preghiera, il Vescovo è salito nel reparto di Oncologia Pediatrica, accolto dal prof. Ughetti e dal dottor Palazzi, che lo hanno accompagnato nella visita a tre piccoli degenti. “uno dei luoghi più delicati della struttura – ha sottolineato il dott. Trenti – di grande amarezza, ma che regala anche soddisfazioni a chi vi opera. Oggi avere buon risultati è più frequente di un tempo”. “Una missione – ha detto il vescovo Erio agli operatori presenti – che svolgete in modo professionale e delicato, con una cura speciale per le famiglie”.