Un corso per insegnare a tutti i medici e infermieri a riconoscere il Delirium e a trattarlo con successo, evitando il più possibile psicofarmaci e contenzione. Ma anche una ‘task force’ multidisciplinare, pronta a intervenire in ogni reparto, per affiancare gli specialisti, anche mettendo a disposizione una serie di strumenti sperimentati in Geriatria: dalla Delirium Room alla poltrona che culla l’anziano in posizione fetale: dall’attrezzatura multisensoriale portatile per calmare chi è troppo agitato al finger food, il menù da consumare con le mani, per combattere la malnutrizione assecondando il paziente.
È la sperimentazione che il Sant’Orsola sta portando avanti per individuare e trattare con successo i casi di Delirium, sempre più frequenti tra chi viene ricoverato soprattutto se anziano e se già afflitto da deficit cognitivi o sensoriali. Il punto della situazione è stato fatto oggi nel corso del seminario “La prevenzione e la gestione del delirium: un marker di qualità assistenziale in ospedale” che ha visto la partecipazione, tra gli altri, del Prof Mac Lullich, presidente della Associazione Europea Delirium.
“Questo percorso è stato avviato cinque anni fa – spiega il direttore generale del Policlinico Sergio Venturi – ma ha assunto indubbiamente un significato particolare dopo la tragica morte di Gino Bragaglia. Siamo intervenuti sulle strutture, abbiamo avviato alcune sperimentazioni con le tecnologiche più innovative che presto daranno i primi risultati. Ma al centro continuiamo a mettere i bisogni del paziente e dei familiari e il rapporto con i medici, perché passa di qui la possibilità di garantire sicurezza e possibilità di guarigione”.
Il Delirium colpisce, in media, il 20% degli anziani ricoverati. Ancora oggi, però, nel nostro Paese i due terzi dei casi non vengono diagnosticati perché i sintomi vengono attribuiti all’età o a malattie quali demenza e depressione. Se non trattato adeguatamente questo scompenso cerebrale può avere, però, conseguenze pesanti: secondo la letteratura internazionale solo nel 40% dei casi si ha una guarigione completa, nel 35% si registra un danno cognitivo permanente e nel 25% si arriva, per cause diretto o indirette (come complicanze cardiache, disidratazione) alla morte.
“Le sperimentazioni che stiamo conducendo al Sant’Orsola per superare questa situazione – spiega Maria Lia Lunardelli, direttore di un’Unità operativa di Geriatria – lavorano contemporaneamente sugli ambienti, sugli operatori e sui familiari. L’obiettivo è comprendere il sintomo e trovare la risposta adeguata. Un’alleanza terapeutica che vuole evitare il più possibile l’utilizzo di psicofarmaci, che rischiano di peggiorare il disorientamento dell’anziano, e soprattutto la contenzione fisica, che non garantisce neanche la sicurezza del paziente”.
Al Sant’Orsola si è partiti così con allestire la Snoezelen nel reparto acuti , un’area di stimolazione multisensoriale sperimentata in Olanda e Inghilterra, e adottando una serie di poltrone morbide sulle quale il paziente assume una posizione da cui non riesce ad alzarsi da solo, riuscendo così a essere controllato senza bisogno di strumenti di contenzione. L’anziano agitato di notte può così essere trasportato su una di queste poltrone, dotate di ruote, nell’area Snoezelen, dove senza farmaci riesce ad addormentarsi. Oppure attrezzature multisensoriali possono essere portate nella sua stanza, ottenendo un effetto analogo.