Gli interventi di restauro conservativo finanziati con i contributi dei parrocchiani e un ciclo di visite guidate alla sagrestia e al chiostro della chiesa di San Biagio nel Carmine, in un percorso che parte dai capolavori trecenteschi di Tomaso da Modena per arrivare agli esiti barocchi dei quadraturisti Colonna e Mitelli. Se ne parlerà sabato 1 dicembre alle 17.30 alla sagrestia della chiesa, in via del Carmine 4, (accesso dall’attiguo Chiostro) alla presenza del parroco, di Francesca Piccinini, direttrice del Museo Civico d’Arte di Modena, di Sonia Cavicchioli, docente di Storia dell’arte moderna dell’Università di Bologna, e degli storici dell’arte Valentina Borghi e Simone Sirocchi.

La chiesa di San Biagio nel Carmine è stata riaperta da poco al pubblico al termine di una importante campagna di consolidamento e restauro dopo l’evento sismico del 1996 ed è nuovamente inagibile a causa dei danni recati alla struttura della navata dal terremoto del maggio 2012. Tuttavia, nel corso dell’anno sono stati realizzati un intervento conservativo e il recupero di un affresco, fortemente voluti dal parroco don Gianni Gherardi che li ha finanziati con contributi dei parrocchiani. Nei sabati e nelle domeniche di dicembre alle 16 e alle 16.30 (2, 8, 15-16, 22-23 dicembre) una serie di visite guidate, gratuite e senza prenotazione, al chiostro e alla sagrestia consentiranno di apprezzare le novità emerse, attraverso un percorso che dalle testimonianze gotiche rappresentate dal capolavoro trecentesco di Tomaso da Modena e dall’affresco di San Martino giunge agli esiti barocchi con le decorazioni dei quadraturisti, Colonna e Mitelli, in seguito impegnati nella reggia di Sassuolo, a palazzo Pitti per i Medici e presso il re di Spagna a Madrid.

Il restauro ha interessato la Cappella di Sant’Angelo di Sicilia, il santo carmelitano omonimo del committente e priore dell’ordine, Angelo Monesi, che intorno al 1632 fece erigere la sagrestia affidandone la decorazione ai bolognesi Angelo Michele Colonna e Agostino Mitelli, forse in collaborazione con il loro maestro Girolamo Curti detto il Dentone. Il soffitto e le pareti decorate della Cappella versavano in condizioni conservative precarie, tali da rendere la decorazione poco leggibile.

L’intervento di restauro ha consentito di portare alla luce particolari invisibili rendendo nuovamente leggibile la scritta del cartiglio collocato sopra alla porta laterale sinistra, “de coelo gladio”, riferibile a un’esperienza mistica di Sant’Angelo.

Tra le novità emerse si segnala il recupero di un affresco probabilmente tardo cinquecentesco, il cui studio non è stato al momento ancora approfondito a causa della temporanea inagibilità dell’Archivio di Stato di Modena per lavori di consolidamento post-sisma. Qualche anno fa, in occasione di restauri condotti all’interno della chiesa, nel piccolo vano che mette in comunicazione l’edificio ecclesiastico con il corridoio della sagrestia, è stato riportato alla luce un affresco con figure di angeli e la raffigurazione di due santi, identificabili verosimilmente come Gioacchino ed Anna, i genitori della Vergine, alla quale la chiesa era intitolata. Tale affresco fu probabilmente coperto in occasione dei lavori condotti nel Seicento, culminati con la decorazione della cupola ad opera di Mattia Preti (1651-52). Il restauro appena concluso ha consentito di completare il descialbo dell’affresco, che è stato successivamente pulito e consolidato e attende ora di essere studiato.

Recentissima è anche la ricollocazione nell’abside della chiesa, proprio di fronte alla grande pala di Giovanni Battista Codebue con l’Annunciazione (1596) che domina il catino absidale, di un importante paliotto seicentesco in scagliola policroma al centro del quale è raffigurato lo stesso soggetto. Il paliotto, la cui ricca decorazione di gusto barocco induce ad avvicinarlo alla produzione della bottega carpigiana di Marco Mazelli, fu realizzato verosimilmente per ornare l’altare maggiore della chiesa (completato nel 1660) e in seguito collocato nel corridoio situato tra chiesa e sagrestia. Da qui fu rimosso negli anni Novanta perché gravemente compromesso dall’umidità, restaurato a cura del Museo Civico ed esposto nelle sale museali fino a quando recentemente ne è stata decisa la ricollocazione nella chiesa da cui proviene.