“Tra Modena, Ferrara, Reggio Emilia e Bologna abbiamo una sessantina di colleghi terremotati, solo nelle zone più colpite del modenese su 83 assistenti sociali più di trenta non hanno più una casa”. Lo dice Anna Fiorentini, segretaria dell’Oaser, l’Ordine degli assistenti sociali dell’Emilia-Romagna.
A Mirandola le assistenti sociali lavorano sotto le tende, a Finale Emilia il palazzo del Comune è inagibile e gli uffici hanno traslocato in locali di fortuna. Le cose da fare sono tante: famiglie rimaste senza casa a cui trovare una nuova occupazione, bambini che hanno bisogno di pannolini, di latte, ma anche di svago, gli anziani che devono essere portati in strutture protette.
“Vengono prima gli altri e poi veniamo noi” dice Cinzia Andronaco, assistente sociale del Comune di Finale Emilia. Senza casa, ma al lavoro, come la collega Letizia Piccinini, che vive in tenda con i suoi bambini. “Per fortuna sto a 25 chilometri da qui e nel viaggio di ritorno dal lavoro piango, così mi scarico. Ma durante il giorno dobbiamo essere forti per dare forza a chi viene qua in condizioni disperate”.
“Esprimiamo grande apprezzamento per il lavoro degli assistenti sociali a favore di tutta la popolazione, e in particolare per le situazioni di maggiore difficoltà – continua Anna Fiorentini –, ma ci stiamo anche movendo per portare loro aiuto e sollievo, perché hanno turni massacranti e lo stress, anche per la loro condizione personale, ha superato il livello di guardia”.
L’Oaser si è attivato non solo per raccogliere le richieste di supporto (il numero 333 5647158 è attivo 24 ore su 24), ma anche per coordinare gli assistenti sociali di altri territori disponibili a lavorare nelle zone colpite dal terremoto.
“Per ora sono una sessantina – aggiunge Anna Fiorentini –, venti sono stati assegnati ai servizi sociali del territorio tramite la Protezione civile, altri hanno avuto dal proprio ente di appartenenza l’autorizzazione a recarsi nel modenese per affiancare i colleghi e questo è un bel segno di solidarietà istituzionale. Ma stiamo anche lavorando – conclude – a un progetto di servizio sociale nei campi, perché, superata la fase di prima emergenza, ci sarà un delicato lavoro di ricostruzione del tessuto sociale da portare avanti”.