Teodoro classe ‘39, figlio del milite Pietro Sassi ucciso il 12 Aprile 1945 a Cervarolo di Villa-Minozzo assieme ad altri 20 soldati da un plotone partigiano rosso, questa mattina si è recato, come fa abitualmente, sul luogo dove il padre è stato ammazzato dai comunisti.
Dopo un viaggio di diverse ore, Teodoro Sassi abita a Milano, l’amara scoperta: la croce deposta per ricordare i militi uccisi è stata nuovamente violata. Solo la parte orizzontale ha retto, anche se profanata con scritte ingiuriose: è stata infatti riprodotta nei quattro lati del simbolo sacro, con una bomboletta di vernice rossa, la dicitura “W STALIN”. Sul masso col tricolore italiano, posto ai piedi della croce, invece è stato verniciato il contrassegno comunista della falce e martello.
Teodoro, non reagisce ma molto arrabbiato dentro per lo sgarbo contro persone morte. Sassi come i tanti famigliari delle vittime, chiede semplicemente di potersi recare ‘alla curva della morte’ in cui è stato ucciso il padre, per deporre dei fiori e pregare. Un luogo nascosto che dovrebbe essere di pace e silenzio.
La militanza più radicale dei partiti di sinistra non accetta però che da noi possano esistere luoghi in cui piangere i morti causati dai partigiani comunisti, per questo fa di tutto per cancellarli e per eliminare la memoria storica.
Pietro Sassi era originario di Pantano, la moglie Angiolina Giovanardi di Monchio di Casina, la loro era una famiglia poverissima, con i loro due bambini abitavano a Pantano di Carpineti in un’unica piccola stanza che fungeva da cucina e camera da letto, il bagno non c’era. Pietro era un “casante”, che ai tempi significava senza casa. Per questo gli venne consigliato, siamo agli inizi degli anni ’40, di arruolarsi, per guadagnare quei pochi soldi necessari alla famiglia per sopperire alle esigenze primarie. Pietro non faceva politica, non gli interessavano le differenze ideologiche tra fascisti e comunisti, il suo obiettivo era quello di garantire a figli e consorte, dopo tante sofferenze e privazioni, una vita dignitosa. Al rientro dalla guerra, a Pantano, però il peggio doveva ancora avvenire. Pietro individuato da un partigiano comunista del posto venne prelevato per essere poi portato nel presidio partigiano di Lama Golese, vicino a Febbio di Villa Minozzo. Lì, dopo una breve prigionia, venne condotto sul monte di Cervarolo, dove venne trucidato, assieme a 10 commilitoni italiani e 10 soldati tedeschi.
Il figlio Teodoro solo nel 2007, attraverso un articolo comparso nel mensile Tuttomontagna, scoprì della tragica fine del padre e del luogo del massacro. Da quel giorno iniziarono per lui i pellegrinaggi nell’Appennino reggiano, per ricordare suo papà morto quando lui non aveva ancora compito i 6 anni.
In quei giorni del ‘45 il piccolo Teodoro fu costretto a subire un altro grave lutto. La madre Angiolina, pochi giorni prima del massacro comunista di Cervarolo, si era recata, assieme alla sorella, a Lama Golese per l’ultimo saluto al marito. Ancora prima del rientro a Pantano, durante uno scontro a fuoco tra partigiani e militari tedeschi perse la vita la sua primogenita Giovanna, di 7 anni. Un tragedia che si sommava ad un’altra.
Nonostante questo Teodoro è riuscito a ricostruirsi una vita, emigrato a Milano ha lavorato per tanti anni in ospedale. E’ dovuto scappare da Reggio, veniva identificato come il figlio del fascista. Oggi chiede solo pace e giustizia, vuole solo quella dignità che per anni il destino gli ha negato.
(Fabio Filippi)