Le rilevazioni dell’Osservatorio Geofisico del Dipartimento di Ingegneria dei Materiali e dell’Ambiente dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia dalla stazione posta sul torrione orientale del Palazzo Ducale di Modena hanno misurato in questi ultimi due giorni 36 cm di neve.

“La valutazione precisa del dato – precisa il meteorologo Luca Lombroso – è stata lunga e laboriosa ed è arrivata dopo la consultazione delle linee guida internazionali per il rilievo dell’altezza neve, data appunto la straordinarietà del fenomeno. Più nel dettaglio, 10 cm di neve sono attribuiti al 9 marzo, caduti quasi tutti alla sera e 26 cm il 10 marzo, di questi 25 dalla mezzanotte al primo pomeriggio e 1 cm alla sera, durante la prevista temporanea ripresa dei fenomeni”.

Sempre 36, finora (ma non sono al momento previste altre nevicate), i centimetri di neve totali caduti a marzo, che fa salire a ben 112 cm il totale di neve della “stagione fredda” (il periodo da ottobre ad aprile) 2009-10, che a questo punto – per i tecnici – risulta essere la più nevosa dal 1932/33, quando caddero complessivamente in quell’anno 136 cm di neve.

Tante le curiosità e le statistiche da elaborare su questo fenomeno, prima ancora di quelle storico-climatiche locali. “Partiamo – continua Luca Lombroso – dal nome della depressione <Andrea>. A battezzare i cicloni e anticicloni europei è, tradizionalmente, l’Istituto di Meteorologia della Libera Università di Berlino. Riguardo, invece, la <meteo-storia> modenese, dall’archivio digitalizzato e rispolverando alcuni annuari e volumi manoscritti del XIX secolo emergono molti dati interessanti e curiosi.

Cominciamo dalla singola nevicata <marzolina>, che è la più abbondante da quella del 1° marzo 1909, 40 cm in un sol giorno, ma allora si verificò il primo del mese. Nel 1855, invece, se ne trova una di 35 cm il giorno 10 sempre di marzo. Entrambe queste nevicate non sembrano però associate al <blizzard>”.

Difficile interpretare per il passato la presenza del <blizzard>, oltre a quello del 13 dicembre 2001. Probabilmente a questo fenomeno si può associare quanto accaduto il 10-11 febbraio 1956, un inverno storico non solo per la neve ma per il gelo, in quanto durante quella nevicata i termometri restarono “inchiodati” fra -4.9°C e -9.2°C, mentre quest’anno la temperatura durante la nevicata era appena sotto gli zero gradi.

“Si tratta – commenta Luca Lombroso – di un evento che possiamo definire <inusuale>, o <straordinario>, non <eccezionale> in quanto qualche rado precedente c’è ed in particolare perché, coi cambiamenti climatici in corso, ormai possiamo aspettarci letteralmente di tutto. Negli ultimi anni infatti abbiamo sperimentato dagli estremi torridi dell’estate 2003 e 2009 ai picchi caldi invernali del gennaio 2000 e 2007 nonché ai record di caldi e assenza di neve dell’autunno-inverno 2006-07, per passare all’opposto al freddo del 19 dicembre seguito da gelicidio il 22 e da alluvione per Natale, quindi la neve di San Geminiano, il tepore di fine febbraio e il blizzard di ieri. Nessuno di questi episodi, singolarmente, conferma o smentisce il <global warming> e i cambiamenti climatici, ma certamente il ripetersi frequente di questi <estremi> dovrebbe quanto meno farci riflettere”.

Riguardo le previsioni, si conferma per il fine settimana un quadro di “fredda variabilità primaverile”, con gelate mattutine (minime attorno a +1°C in città e -4°C in campagna), mitigate da tepori diurni anche sui 10-12°C sabato-domenica in pianura, mentre resterà aria piuttosto pungente sui monti dove i termometri a quota di 1500 m andranno dalle minime di -6,-10°C a massime attorno a 0°C.

E proprio alle previsioni va l’ultimo commento. “Fra i motivi di miglioramento delle previsioni – conclude Luca Lombroso – vi sono i risultati e l’esperienza del Progetto Internazionale MAP Mesoscale Alpine Programme a cui l’Osservatorio Geofisico contribuì con misure intensive durante la <Campagna MAP SOP 1999> partecipando con Luca Lombroso e Paolo Frontero al team internazionale di <weather forecaster>. Anche sul Blizzard del ciclone Andrea ci sarebbe tanta ricerca da fare, dalle analisi storico-climatiche a quelle meteorologiche e dinamiche, nonché per approfondire se, come e perché i cambiamenti climatici rendano le tempeste di neve da un lato meno frequenti e dall’altro più intense. Investire sull’osservazione dei fenomeni e sulla ricerca è investire sul nostro futuro”.