E’ morto ieri a Milano all’età di 71 anni il progettista e design Italo Rota. Suo il progetto di ristrutturazione e allestimento museografico dei Musei Civici di Reggio Emilia.
“Italo Rota è stato indubbiamente un fuoriclasse, un maestro in tutte le esperienze e progettualità che ha portato a compimento. Ho avuto il privilegio di conoscerlo fin dalla fase iniziale del suo percorso a Reggio Emilia, durato quasi 10 anni, dove insieme a lui abbiamo realizzato e consegnato alla città il Nuovo Museo. Lavorare con lui non era semplice. Era vulcanico, imprevedibile, sorprendete nella sua capacità di intuizione ed esplosione creativa. Poi il tutto veniva ricondotto a una organicità condivisa, più razionale ma sempre coerente con la visione che ci aveva consegnato. Era un metodo di ragionare e lavorare, che era prima di tutto contenuto e non prescindeva mai dal confronto, dal dialogo, dalla considerazione di quanto si muoveva, viveva intorno al progetto. Nel nostro caso, la città”.
Con queste parole il sindaco di Reggio Emilia, Luca Vecchi, ricorda Italo Rota, il celebre architetto e artista scomparso ieri a Milano, amico e conoscitore della città emiliana dove, insieme con la direzione e i conservatori dei Musei Civici, ha realizzato il Nuovo Museo (2021) nello storico Palazzo dei Musei, a conclusione di un affascinante percorso di partecipazione e progettazione culturale, artistica e antropologica di diversi anni.
La sede museale è passata da 38.487 a 214.310 presenze, dal 2021 al 2023.
“Credo che Italo – prosegue il sindaco – abbia aiutato Reggio Emilia, accompagnando uno dei percorsi e progetti culturali più ambiziosi e impegnativi, portati a compimento in questi 10 anni, ed abbia aiutato la nostra città a guardarsi dentro e a sperimentare creando l’innovazione. Lui stesso mi disse che fra i suoi intenti vi era quello di aprire la città al cambiamento, senza rinunciare a un solido legame con le proprie radici e identità. Ecco, credo che questo pensiero, questa idea così semplice, complessa e potente insieme sia rappresentata nel Nuovo Museo, dove si respira l’approccio sperimentale, innovativo, aperto al futuro.
“Italo per me è stato tutto questo – conclude il sindaco – Ed è stato una straordinaria competenza che Reggio Emilia ha incrociato in un tratto della sua storia, con la quale ha costruito una parte importante del suo protagonismo culturale e del suo impegno per il bene comune. Perdere Italo è doloroso ed è un fatto rilevante, per il nostro Paese e per la nostra città, che dovrà porsi il problema di come ricordare questo celebre architetto e artista poliedrico, che tanto si è occupato e tanto ha compreso e rappresentato di noi, aiutandoci a scoprirci e a raccontarci”.
MUSEO E COMUNITÀ – Fra le idee di Italo Rota a proposito del ruolo dei musei nella civiltà contemporanea, vi era quella citata sul Corriere della Sera di oggi dal critico d’arte Pierluigi Panza: “ …nei musei ciascun cittadino lascerà le sue memorabilia (come nel suo di Reggio Emilia)”.
A Reggio Emilia Italo Rota è stato certamente architetto, ma anche ascoltatore, ricercatore, designer, creativo, artista di ampio respiro, interprete contemporaneo del ‘fare’ di stampo rinascimentale, cioè insieme a chi era con lui e in bottega, dove tutti i saperi si mescolavano per produrre l’opera.
Francesca Oddo scrive di Rota sulla rivista di architettura Abitare: “ …gli anni non contano quando qualcuno, come lui, è sempre stato orientato a esplorare il futuro con lungimiranza, entusiasmo e pragmatismo (…), ovunque andasse – dalla Francia alla Spagna, da Dubai all’India fino alla Cina – portava con sé ed esprimeva la sua visione del mondo, contaminata dall’arte e dalla tecnologia, dall’utopia e dalla concretezza, dal rispetto per l’ambiente e dalla convinzione che fosse necessario coinvolgere la comunità nel processo progettuale”.
L’IDEA DI NUOVO MUSEO – Si intitola Io sono Museo (Forma Edizioni), il libro che dà conto dell’esperienza partecipativa e progettuale di Italo Rota a Reggio Emilia. Un percorso contrappuntato da una serie iniziative pubbliche e alcune grandi mostre, allestite al piano terzo del Palazzo dei Musei, primo vasto spazio riqualificato e riallestito da Rota, e poi scaturito nel Nuovo Museo al piano secondo dello stesso edifico, in costante dialogo e osmosi con le collezioni storiche del piano primo.
Il Museo dunque ‘personificato’, essere vivente. I suoi piedi, la sua solida base, sono le collezioni e raccolte storiche: un meraviglioso museo-nel-museo, una pièce unique, che radica e alimenta l’essere nuovo, aperto, in cambiamento: una corporatura dinamica come quella di un atleta, scaturita dall’intuizione e dall’idea progettuale di Rota, assieme alla città e agli esperti dei Musei Civici.
Nel Nuovo Museo conservare è innovare. Coniugando visioni espositive, esigenze scientifiche e documentali, saperi consolidati e sollecitazioni partecipative, gli oggetti nei nuovi allestimenti aiutano, secondo le parole dell’architetto, a creare “varchi”, interagiscono virtuosamente con il visitatore aprendosi a nuove interpretazioni e domande, stimolando la consapevolezza della potenzialità e della ricchezza che lo circonda, a fare esperienza, finanche a manipolare, non solo per calarsi e calare il passato nell’oggi come in una metamorfosi, ma anche, e forse soprattutto, per cercare e delineare il futuro.
Si sollecita perciò un visitatore attivo. E’ possibile in questo contesto vivere la sorpresa che il mondo anglosassone ha definito con efficacia in una parola: serendipity, serendipità, ovvero il fare felici e inattese scoperte mentre si sta cercando altro, come spesso è avvenuto nella Scienza del XX Secolo.
Il Nuovo Museo è un dialogo intenso e provocante, fra persone singolari e plurali. Esso si propone quale museo di tutti e diviene pezzo fondamentale del “meccanismo umano”, come sottolineava lo stesso Italo Rota, che aggiungeva: “ E’ un luogo di possibile e continua sperimentazione”.
Ecco perché il Museo diviene più nuovo, più grande, più museo. Chi entra non è un ‘semplice’ visitatore: è una persona invitata a immergersi in un grande Archivio dei beni comuni, secondo l’accezione di Claire Bishop.
Ecco perché nel Nuovo Museo si può, come diceva Jimi Hendrix, Are You Experienced, essere trasformati dall’esperienza, che si sta vivendo nella frequentazione e permanenza al Museo.
ITALO E NOI – Rota ha saputo cogliere diverse qualità, connotazioni, passioni della comunità reggiana, di cui parlò in questi termini, riferendosi al percorso museale: “Dalla capacità dell’uomo di fare manifattura, cioè prendere la materia e farne altro, si concluderà con le visioni di grandi artisti della fotografia, fra cui Luigi Ghirri. Emerge così la meravigliosa anomalia reggiana, fatta di serietà e visionarietà, portatrice di un’utopia che ci si può permettere, che nasce giorno per giorno e contribuisce a cambiare il mondo. Qui tecnologie e produzioni possono diventare atti artistici”.
“A Reggio Emilia, la fotografia è parallela alla passione per la musica. E’ quasi un’ossessione collettiva, di altissima qualità – disse ancora Rota – Altre arti non arrivano a queste vette, perché Reggio è stata ingiustamente spogliata nei secoli di alcuni capolavori ad esempio della pittura. E noi ci adeguiamo a questa grande passione collettiva, che è la fotografia, ad ogni livello”.
Con buone ragioni, si può parlare di Photo Affection e questa definizione racchiude la diffusa presenza fotografica nel Nuovo Museo.
LE MOSTRE DEL PERCORSO DECENNALE – Dall’accumulo alla conservazione e al comparativismo, dall’universalità all’ispirazione e alla multidisciplinarietà, dall’approccio multilivello alla pedagogia sono nel Nuovo Museo.
E’ questo il percorso di senso che innerva l’immaginario del Nuovo Museo, rilanciandolo quale spazio condiviso del XXI Secolo, dove storia, cultural heritage (eredità culturale), tecnologia, passato e futuro condividono uno spazio e un’idea di futuro.
“Il museo diviene poi uno spazio dinamico, non più solo una teca espositiva, ma uno stimolo al confronto e anche al giudizio. E’ un luogo da usare, un luogo che fa, non solo mostra ed espone. Il nostro invito è di usarlo, tutto questo sistema, questa macchina che può portarci lontano – disse Italo Rota – I musei si stanno trasformando in un componimento a più voci, tra memoria, ricerca, scienza, industria, arte e umanesimo, mediato e reso possibile dalla partecipazione personale, per testimoniare la libertà e la responsabilità che il futuro ci invita a considerare ogni giorno, sia come individui sia come collettività. È quasi un dovere usare il passato partendo dalla sua realtà fisica, sperando che un gran numero di persone cominci a studiare e non si accontenti di leggere spiegazioni”.
Quella del Nuovo Museo è una vicenda fatta di osservazione, capitalizzazione delle esperienze, elaborazione di nuovi manufatti: dal dato archeologico alla robotica e alla meccatronica, competenza distintiva della città, “perché l’attitudine dell’uomo qui, in milioni di anni, non è cambiata”.
Nel Nuovo Museo, che è autoriale e riconoscibile, la cronologia non è più l’unica modalità di racconto, il museo non è più “un unico nastro trasportatore delle storia”. Questa idea di museo e di narrazione, di Temporary Museum, è stata approfondita ed evidenziata a Reggio Emilia tra il 2010 e il 2018 – al piano terzo del Palazzo dei Musei, quello con maggiore vocazione “laboratoriale e ricercativa” e ai Chiostri di San Pietro – da una serie di iniziative partecipate, allestimenti sperimentali, mostre a cura di Italo Rota, fra cui:
· L’amore ci dividerà (2010)
· Gli oggetti ci parlano (2012)
· For inspiration only (2014)
· Red Gallery-Wonderful collection (2016)
· Tutto quadra/Tutto tondo (2016-17, Palazzo dei Musei)
· Lo scavo in piazza. Una casa, una strada, una città (2017)
· On the road. Via Emilia 187 a.C.-2017 (2017-2018).
Queste iniziative si possono leggere nel loro insieme quali “Prove generali” di quello che sarà il Nuovo Museo, che è anche contenitore di questo percorso e ne propone esperienza, conoscenza, intuizioni.
Nato a Milano nel 1953, figura tra le più interessanti e poliedriche della scena architettonica italiana, Italo Rota si è laureato nel 1982 al Politecnico di Milano. Dopo un’esperienza decennale in Francia, nel 1995 torna nel capoluogo lombardo e l’attività del suo nuovo studio milanese inizia a spaziare dal masterplan al product design, in progetti che si caratterizzano per la scelta di materiali innovativi, tecnologie all’avanguardia e approfondita ricerca sulla luce.
Spiccano nella sua produzione la promenade del Foro Italico a Palermo (Medaglia d’Oro all’Architettura Italiana per gli Spazi Pubblici 2006) e il Museo del Novecento nel Palazzo dell’Arengario in Piazza Duomo a Milano (2010).
Oltre alla Francia, sono numerose le opere realizzate in ambito internazionale, come la Casa Italiana alla Columbia University, New York (1997); il Tempio Indù a Mumbay (2009); il Chameleon Club al Byblos Hotel, Dubai (2011).