Il Segretario Generale del Censis Giorgio De Rita ha illustrato alla platea dell’Oratorio San Filippo Neri il rapporto che ogni anno offre una narrazione puntuale dei più rilevanti fenomeni socio-economici che interessano la società italiana.
In premessa, Giusella Finocchiaro, Presidente della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna e Carlo Cipolli, Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, promotori dell’iniziativa, hanno sottolineato l’importanza dell’attuale Rapporto del Censis, in quanto la situazione fotografata nel Rapporto evidenzia numerosi fenomeni economici, sociali e culturali che stanno modificando le aspettative per il futuro e i rapporti dei cittadini sia verso le istituzioni che all’interno delle comunità di riferimento.
«La società descritta dal 55° Rapporto riflette inevitabilmente i profondi cambiamenti indotti dall’emergenza sanitaria, dall’impellenza della questione climatica e dalle nuove disuguaglianze indotte sia dal rallentamento dell’economia a seguito della pandemia da COVID-19, sia dagli sviluppi delle tecnologie digitali, che hanno approfondito il già vistoso gap generazionale. Anche la ripresa del sistema economico avviata nel 2021 con il PNRR ha innescato aspettative contrastanti: positive per la politica di investimenti nelle infrastrutture, nell’istruzione e formazione, nel green e nella transizione ecologica, negative per l’incremento dei costi a fronte della stabilità dei salari e delle pensioni, per i rischi di sottoremunerazione e precarizzazione dei rapporti di lavoro. Occorre essere consapevoli delle implicazioni di una ripresa economica avviata in base ad un progetto, il PNRR appunto, anziché da un’evoluzione del sistema socio-economico. Pertanto, è necessaria una presa di coscienza, individuale e collettiva, non solo delle opportunità offerte, ma anche delle responsabilità in capo ai soggetti attuatori delle sei misure sulle quali si articola il PNRR. La presa di coscienza degli aspetti complessivi del progetto di ripesa può essere aiutata anche dall’azione dei corpi intermedi dello Stato, come le Fondazioni, in quanto antenne dei territori e delle comunità – hanno dichiarato i presidenti Giusella Finocchiaro e Carlo Cipolli. Infatti, le Fondazioni dispongono sia di conoscenze delle caratteristiche dei territori di riferimento che di risorse umane e finanziarie per sviluppare azioni adeguate a sostenere le innovazioni nei settori del welfare e dell’istruzione-formazione, a ridurre le nuove povertà e disuguaglianze sociali, a salvaguardare la salute e il benessere dei cittadini e a contrastare il diffuso sentimento di sfiducia, soprattutto dei giovani, nei confronti delle istituzioni e dell’azione pubblica. Inoltre, possono contribuire, in sinergia con gli enti locali e le università, a valorizzare le potenzialità in parte inespresse negli ambiti della scuola, della formazione, della ricerca e delle nuove forme di imprenditorialità anche nel terzo settore. Infine, possono concorrere anche allo sviluppo dell’occupazione, incentivando le reti di cooperazione sul territorio e favorendo una progettualità condivisa che sappia guardare con intelligenza al futuro e alle trasformazioni in atto nel mondo del lavoro».
Il Dott. Giorgio De Rita, Segretario Generale del Censis, nell’introduzione all’articolata presentazione del 55° Rapporto, ha sottolineato subito che «La società italiana è mutata e ha attraversato crisi ed emergenze con il continuo intrecciarsi di realtà emerse e sommerse, quotidiane e di lungo periodo. Oggi questo non basta più. L’adattamento continuato non regge più, il nostro complessivo sistema istituzionale deve ripensare se stesso. Siamo di fronte a una società che potrà riprendersi più per progetto che per spontanea evoluzione».
Dalla documentazione riportata dal dott. De Rita è emerso chiaramente che la pandemia, rimescolando le carte, ha posto il Paese di fronte alla necessità di attivare un cronoprogramma serio, che preveda riforme strutturali, coraggiosi interventi pubblici, l’organizzazione di eventi di rilevanza internazionale e la capacità di cogliere le opportunità offerte dall’accelerazione negli investimenti. Solo attraverso un progetto unitario, frutto di un’aspirazione allo sviluppo collettiva e partecipata, sarà possibile guidare il sistema socio-economico verso le quattro grandi transizioni evidenziate dal rapporto del Censis: la transizione green implica la necessità di riorganizzare le attività produttive e lo stile di vita attuale per salvaguardare l’ambiente, soprattutto in funzione delle generazioni future; la transizione digitale, la sfida tecnologica primaria delle società globali, si intreccia con la trasformazione (più ancora che transizione) del lavoro: in uno scenario produttivo e occupazionale radicalmente mutato, il riposizionamento delle competenze e il riallineamento tra domanda e offerta sono temi fondamentali per una ripresa collettiva. Infine, la transizione demografica, con l’obiettivo di rimettere al centro i giovani, è necessaria per poter affrontare realisticamente la crisi di una società sempre più anziana e meno numerosa.
Il 55° Rapporto ha evidenziato, tuttavia, che a questo appuntamento storico la società italiana giunge in parte sfiduciata, per le disillusioni patite soprattutto negli ultimi 15 anni, segnati da un forte rischio di erosione del patrimonio familiare e da un indebolita capacità di formare nuova ricchezza. Dopo la pandemia, tutti i rischi di natura socio-economica che gli italiani avevano paventato (crollo dei consumi, chiusura delle imprese, licenziamenti e povertà diffusa), sono oggi sostituiti dalla paura generale di non essere in grado di alimentare la ripresa, di inciampare in vecchi o nuovi ostacoli, come l’accelerazione dell’inflazione, particolarmente negli ultimi mesi.
L’attuazione di un progetto di transizione sistemico, indispensabile per la ripresa dello sviluppo socio-economico, è minata anche da una non trascurabile quota di irrazionalità ormai infiltrata nel tessuto sociale. Lo prova la diffusione di pregiudizi antiscientifici (per il 5,9% degli italiani il Covid non esiste, per il 10,9% il vaccino è inutile e per il 12,7% la scienza è dannosa) e di teorie cospirazioniste (il 40% è convinto che identità e cultura nazionali spariranno, rimpiazzate dall’arrivo di ondate migratorie manovrate da presunte élite globaliste). La penetrazione dell’irrazionalità nelle posizioni scettiche individuali, nel dibattito pubblico, sui social network e nei media è un fenomeno in quanto non è indotto dalla pandemia, ma ha radici più antiche e profonde, connesse alla perdita di fiducia negli strumenti razionali con cui la società ha storicamente costruito progresso e benessere, quali la scienza e la tecnologia. La perdita di fiducia è correlata anche al prolungato ciclo dei rendimenti decrescenti degli investimenti sociali: la bassa crescita economica, innescando la spirale del debito pubblico, ha generato una diffusa insoddisfazione sociale e il conseguente rifiuto dei paradigmi razionali di costruzione della ricchezza e diffusione del benessere. L’irrazionalità non è solo un riflesso condizionato della tradizionale sfiducia degli italiani nei confronti delle istituzioni (per il 62,2% si viveva meglio in passato), ma è anche il risultato della frustrazione di recenti aspettative individuali e collettive. Per esempio, l’81% degli italiani ritiene che per i giovani sia improbabile ottenere un riconoscimento concreto del tempo e delle energie investite nello studio, e il 35,5% ritiene che non sia conveniente conseguire una laurea a fronte di salari minimi e scarse opportunità occupazionali. Questi dati sono emblematici di un circolo vizioso che attanaglia da tempo la società italiana: il sottoutilizzo delle risorse umane prodotte dal sistema scolastico-universitario mortifica le aspettative di promozione sociale attraverso l’istruzione, considerata per decenni un sicuro ascensore sociale.
L’interpretazione dei mutamenti che stanno incidendo con più forza sul nostro Paese, determinandone i reali processi di trasformazione, sono stati poi oggetto di un prolungato dibattito, moderato da Michele Brambilla, Direttore di Quotidiano Nazionale. Sul palco dell’Oratorio, oltre ai presidenti delle due Fondazioni, si sono alternate le analisi e riflessioni di Emily Marion Clancy, Vicesindaca del Comune di Bologna, di Stefano Bonaccini, Presidente della Regione Emilia-Romagna e del Cardinale Matteo Maria Zuppi, Arcivescovo di Bologna. I loro interventi, tutti ben documentati e argomentati, hanno rimarcato non solo le indubbie difficoltà contingenti, ma anche la ricchezza e la flessibilità del sistema produttivo, sociale e culturale bolognese. In particolare, è stata rimarcata l’importanza di sviluppare una pluralità di progetti fra di loro complementari per assicurare un’ulteriore crescita del sistema socio-economico e una rinnovata capacità di piena integrazione dei “nuovi cittadini”, come avvenuto negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso con gli immigrati dalle aree disagiate del Paese. Le capacità di accoglienza, di integrazione a livello scolastico e professionale e di dialogo interculturale e interreligioso possono essere anche nei prossimi anni i fattori decisivi per la crescita ordinata dell’intero sistema metropolitano. Per programmare progetti di integrazione e sviluppo occorre indubbiamente disporre di conoscenze sociologiche, economiche e culturali aggiornate e capillari dei diversi settori produttivi e dei servizi, oltre che delle aspettative e visioni dei gruppi generazionali e dei contesti culturali che si stanno sviluppando nei territori della città metropolitana.
A quest’ultimo proposito il Dott. De Rita, concludendo la presentazione del 55° Rapporto Censis, ha rammentato la possibilità di rinnovare, a distanza di oltre 20 anni, la collaborazione che portò al rapporto Bologna oltre il benessere. Oggi un eventuale nuovo Rapporto per Bologna potrebbe indagare sia le tendenze in atto nel corpo sociale della città che i fattori che possono favorire la crescita della sua competitività complessiva. Individuare i reali punti di forza del sistema socioeconomico permetterebbe di dare il senso di nuove relazioni tra la città e la sua classe dirigente, tra cittadini e istituzioni, tra vivere collettivo e interessi individuali. Le informazioni necessarie per questo obiettivo potrebbero essere acquisite tramite uno studio sociologico degli aspetti meno conosciuti della realtà sociale, delle visioni dei protagonisti dell’economia urbana, dei meccanismi di interazione sociale e culturale alla base delle nuove identità, così come delle limitazioni intrinseche all’attuale modello socio-economico, indubbiamente “ricco” di potenzialità, ma a rischio di sterilità se non saprà rigenerarsi.