Forse le donne di Modena non hanno le ossa grandi e larghi fianchi, come cantava Francesco Baccini, ma di sicuro quelle che lavorano guadagnano meno degli uomini.
Lo rivela un’indagine del Caf (Centro assistenza fiscale) Cisl Emilia-Romagna, che ha analizzato 142.629 dichiarazioni dei redditi presentate l’anno scorso con il modello 730 presso le sue sedi provinciali (Modena compresa).
Incrociando i suoi dati con quelli dell’Inps, la Cisl afferma che la retribuzione media pro capite delle donne è inferiore del 47,6% della retribuzione media pro capite degli uomini.
Il reddito medio delle lavoratrici modenesi dipendenti, infatti, è passato dai 19.942 euro del 2015 ai 20.233 euro del 2019 (+1,5%).
Nello stesso periodo il reddito medio pro capite degli uomini è passato da 28.814 a 29.863 euro (+3,6%).
Anche in termini percentuali, quindi, nel quinquennio 2015-2019 il reddito delle donne è cresciuto meno di quello degli uomini e il gap tra i generi si è ampliato.
«I dati del nostro Caf rivelano un’inaccettabile disparità – commenta il segretario generale della Cisl Emilia Centrale William Ballotta – Le ragioni del permanere di una così marcata differenza retributiva sono varie. Le donne hanno generalmente orari di lavoro inferiori, non sempre per scelta; sono adibite a mansioni meno qualificate, pur possedendo le stesse competenze e professionalità degli uomini; le progressioni di carriera sono più lente, perché le donne devono dedicarsi anche alla famiglia; i contratti di lavoro sono più precari».
I dati del Cisl Cisl Emilia-Romagna confermano l’analisi di Ballotta. Nella nostra regione le lavoratrici dipendenti in part time sono il 47% del totale; quelle assunte a tempo indeterminato sono il 71,4%, contro il 77% degli uomini. Inoltre è femminile il 52% dei rapporti di lavoro a tempo determinato e il 53% dei rapporti stagionali.
Anche le donne full time lavorano meno giorni rispetto agli uomini: la media è di 249 giornate pro capite per le prime, contro le 268 giornate pro capite per i secondi.
«In pratica le donne impegnate a tempo pieno lavorano un mese in meno dei colleghi – aggiunge il segretario della Cisl Emilia Centrale – Non è quasi mai una scelta, ma dipende dalla tipizzazione dei contratti di lavoro, più penalizzante per le donne».
In questo contesto si aggiungono le difficoltà legate alla pandemia. A settembre 2020 in regione l’occupazione femminile è scesa del 2,9% rispetto allo stesso periodo 2019: in valore assoluto, si tratta di 25 mila posti in meno tra lavoro dipendente (13 mila) e autonomo. Al terzo trimestre 2020 è sceso del 2,4% anche il tasso di occupazione femminile, mentre quello maschile è calato dell’1,6.
«Nonostante Modena sia tradizionalmente un territorio a forte occupazione femminile (secondo l’Inps nel 2019 le lavoratrici dipendenti e indipendenti modenesi erano 162.793), anche da noi le donne sono, insieme ai giovani, soggetti deboli del mercato del mercato del lavoro – sottolinea Ballotta – Dobbiamo al più presto mettere mano a questo problema che mina la coesione sociale e rallenta l’uscita dalla crisi. Servono interventi e misure sia a livello nazionale che locale.
Va nella giusta direzione il Family Act che prevede, tra le altre cose, un assegno mensile universale per tutti i figli fino all’età adulta, sconti per gli asili, agevolazioni per gli affitti delle coppie composte da under 35, detrazioni fiscali delle spese dell’affitto per i figli maggiorenni iscritti a un corso universitario. È positivo pure l’incremento delle risorse per la conciliazione vita-lavoro.
A livello locale c’è bisogno di più servizi per le famiglie, ma per fortuna a Modena non partiamo da zero. Deve, comunque, essere chiaro a tutti – conclude il segretario generale della Cisl Emilia Centrale – che le donne rappresentano uno dei nostri “eserciti di riserva” indispensabili per garantire il futuro del nostro Paese».