“Inutile dire in prima battuta che la salute è il bene più prezioso, ma di questo passo ci sono interi settori economici che non reggeranno alla pandemia. Bar e ristoranti, in primis, sono in ginocchio e parlando con gli imprenditori del settore regna non più la rassegnazione, ma la disperazione.
Ci sono decine di paesi della nostra provincia che resteranno senza più un bar o un ristorante aperto quando tutto questo finirà”. Daniele Casolari, segretario Licom (gli esercenti aderenti a Lapam) è amareggiato. In questi giorni l’associazione sta raccogliendo gli appelli dei ristoratori e dei baristi, ma anche di pasticceri, gelatai, imprenditori del catering, chi lavora per le cerimonie e così via. Un settore che a Modena comprende agriturismi, cibo da asporto, mense, catering, bar, pasticcerie, gelaterie e ristorazione ambulante, che conta al 30 novembre 2020 3.635 imprese attive, il 5,6% delle 64.397 imprese totali attive in provincia, con circa 18.000 addetti. Imprese che sono troppo provate dalla situazione che si è venuta a creare e che hanno come prospettiva la chiusura.
“Tanti, troppi, ci raccontano che non vale nemmeno la pena tenere aperti per l’asporto, ma poi che asporto può fare un ristorante di un piccolo paese, di un comune sotto i 5mila abitanti ad esempio? Ci sono aree periferiche, pensiamo all’Appennino ma non solo, che si troveranno desertificate. Siamo a conoscenza di gruppi auto organizzati e di iniziative che potrebbero venire promosse: capiamo bene il malessere, ma la risposta non passa dal non rispetto delle leggi. Serve, invece, una riflessione seria su tre binari – afferma il segretario Licom -. Il primo è legato alla programmazione: i Dpcm cambiano le regole letteralmente dalla sera alla mattina, questo non è né giusto né rispettoso nei confronti di chi si trova in difficoltà, serve una visione chiara che faccia capire cosa è possibile fare e quando. Il secondo è quello della fonte dei contagi: siamo sicuri che attività come i centri commerciali, in cui si ammassano migliaia di persone, siano meno pericolosi di un piccolo bar o ristorante? E ancora, chiudere queste attività incide sui contagi? Moltissimi imprenditori hanno sostenuto spese anche cospicue per garantire la sicurezza, non sarebbe opportuno fare i controlli del caso e lasciare lavorare chi garantisce il rispetto delle norme?” si chiede Casolari.
Che poi passa al terzo punto: “E poi c’è il tema dei ristori su cui, come associazione, stiamo combattendo una vera e propria battaglia da tempo. Il criterio dei ristori a pioggia prendendo come criterio i codici Ateco non funziona. Occorre un censimento con i dati reali, è necessario che i ristori arrivino a ne chi ha effettivamente bisogno. Solo due esempi – conclude il segretario Licom -: la filiera di chi lavora della ristorazione e il comparto delle cerimonie hanno ricevuto pochissimo, a fronte di cali di fatturato spaventosi”.