Ricorderemo il 2019 per gli effetti del clima sui comparti strategici dell’agricoltura emiliano-romagnola. La produzione cerealicola – su 260mila ettari complessivi, di cui 172mila a tenero, 62mila a duro e 26mila a orzo – ha registrato un calo del 25% nel duro e del 15%
nel tenero. «Tuttavia la coltura tiene, anzi si stima un incremento delle superfici coltivate del 2-3% nella campagna 2020 – osserva Lorenzo Furini, responsabile dei cerealicoltori di Confagricoltura Emilia Romagna -.
È soprattutto il tenero a registrare una buona performance in particolare con le varietà di forza mentre perde terreno il duro (-15%). Dati che potrebbero comunque subire delle variazioni perché le operazioni di semina sono state bloccate dal maltempo e manca ancora all’appello circa il 10-12% della superficie da seminare. Confidiamo di poter sfruttare, con varietà alternative, la possibilità di semina fino ai primi giorni di febbraio. Bene la coltivazione dell’orzo che chiude l’anno con un balzo produttivo del 15% e aumenta gli ettari coltivati del 5-10%. Bisogna orientarsi sempre di più – insiste Furini – sul miglioramento genetico per contrastare le patologie e il cambiamento climatico e per soddisfare gli alti standard qualitativi richiesti da un mercato in continua evoluzione».
È preoccupato Albano Bergami, presidente dei frutticoltori: «Alle ormai croniche inefficienze del sistema Paese, si sono aggiunte problematiche di tipo agronomico e fitosanitario. Sbalzi termici e una primavera estremamente piovosa hanno spinto la proliferazione di malattie fungine come la maculatura bruna del pero e la diffusione della cimice asiatica. I danni
alle filiere frutticole sono incalcolabili perché avranno evidenti ricadute sull’indotto. Se non verranno presto emanati provvedimenti urgenti – avverte Bergami – rischiamo di minare l’intero settore. I segnali sono drammatici. Aumenta il numero degli estirpi, un trend negativo che si protrae ormai da 10 anni, ma che, nel 2019, a esempio, ha visto calare del 19% gli impianti di pere (da circa 22mila ettari a meno di 18mila). Una contrazione che
interessa sempre più anche la varietà regina, Abate Fetel. A fronte di un così grave contesto è prioritario che tutto il comparto, le istituzioni e i soggetti economici con interessi nel settore, sentano forte la responsabilità di attuare le azioni indispensabili per il rilancio del settore. Come si è verificato nel comparto del vino, il punto di massima difficoltà – rimarca il presidente dei produttori di frutta – potrà coincidere con l’inizio della risalita. Tuttavia questo avverrà solo se saremo in grado di rimettere in discussione i passaggi dell’attuale filiera, dalla produzione al consumo».
Giovanni Lambertini, che guida la sezione del pomodoro da industria, evidenzia «una perdita produttiva del 18% – rispetto ai quantitativi contrattati nella programmazione annuale -, causata in particolare dal meteo, da grandine e ritorni di freddo improvvisi (es. nel mese di maggio); da sottolineare, però, il trend positivo di ulteriore crescita delle
superfici condotte con il metodo biologico (+3,3% sul 2018), che valgono oggi il 10,1% della produzione complessiva per l’Area Nord. Sui prodotti finiti, si conferma il tendenziale incremento dei prodotti lavorati ad alto valore aggiunto, quali polpe e passate, a discapito dei concentrati. Il risultato dimostra che la nostra filiera del pomodoro è in grado di esprimere una grande qualità, dal campo allo scaffale, unita alla capacità di valorizzare il prodotto sui mercati di tutto il mondo. Occorre dunque una corretta programmazione produttiva e agronomica concordata con il settore della trasformazione. E bisogna arrivare presto alla definizione del contratto quadro per la campagna 2020 Area Nord al fine di dare indicazioni ai produttori sul prezzo e sulle superfici da coltivare».
Lo sguardo d’insieme sul biologico è del responsabile di settore, Paolo Parisini: «In Emilia Romagna continua il trend positivo dell’agricoltura bio: la SAU (superfice agricola utile) è pari al 14.5% della totale, in linea con quella nazionale che si attesta al 15.5%. Le aziende sono aumentate del 19%, raggiungendo le 5920 unità. Tra le colture più praticate ci sono le foraggere (61.554 ha), seguite dalle cerealicole (32.678 ha). Per quanto riguarda i consumi, il 2019 ha visto un incremento consistente soprattutto nei canali di vendita della GDO. Per chi fa agricoltura biologica, questa è un’altra annata abbastanza soddisfacente sia per l’aumento della domanda che per i buoni prezzi spuntati dalle derrate alimentari. Le coltivazioni vanno comunque programmate in quanto è facile bsaturare il mercato per singoli prodotti».
Silvia Manzoni, presidente della sezione vitivinicola, vede il bicchiere mezzo pieno: «Molta qualità e poca quantità (- 23% di produzione rispetto all’anno passato), è il bilancio conclusivo della vendemmia in Emilia-Romagna, con differenze da zona a zona e tra pianura e collina, in brelazione agli eventi climatici più o meno disastrosi. I ritardi nella
vendemmia, con la raccolta che si è prolungata fino all’inizio di novembre, hanno giocato a favore della qualità del prodotto, poi ha contribuito anche il clima autunnale particolarmente asciutto. Infine, le buone lavorazioni in bcantina hanno creato le condizioni per una chiusura d’anno positiva, fatte salve le zone colpite da fenomeni temporaleschi di forte intensità».
Saluta l’annata con ottimismo il presidente degli allevatori di suini, Andrea Cavazzuti: «L’aumento della domanda di carne di maiale da parte della Cina – a causa dell’epidemia di peste suina africana (Psa) scoppiata nel pase del Dragone – ha spostato gli equilibri, facendo innalzare il prezzo dei suini di ben 70 centesimi al chilo nel periodo da marzo a novembre.
Nonostante le elevate quotazioni attuali, il comparto dei prosciutti Dop ha manifestato problematiche e criticità. Pertanto dobbiamo cogliere il momento favorevole per lavorare sulle modifiche ai nuovi disciplinari di produzione del prosciutto e rafforzare così le filiere tipiche del territorio ad alto valore aggiunto».
Per quanto riguarda la produzione di latte e i prodotti lattiero-caseari, interviene il presidente della sezione, Roberto Gelfi: «È stato un anno singolare. Il Parmigiano Reggiano, che rimane il prodotto di riferimento per il sistema lattiero-caseario della nostra regione, ha mantenuto fino a settembre prezzi sostenuti e costi di produzione stabili, grosso modo in linea con il 2018, poi si è registrato un sostanziale tracollo delle quotazioni, in tutte le classi di stagionatura, tale da raggiungere il 20% dei valori di vendita registrati fino ad agosto. Difficile capire le cause, anche perché il piano di regolazione dell’offerta, varato dal Consorzio del Parmigiano Reggiano, ha garantito un trend di crescita produttiva del tutto
fisiologico. Appare scontato che il Parmigiano Reggiano non sia solo un prodotto “alimentare”, ma assuma caratteristiche squisitamente “finanziarie”, quindi soggetto a tensioni speculative che poco hanno a che fare con l’equilibrio fra domanda e offerta. Ciò – conclude Gelfi – deve interrogare le varie componenti della filiera al fine di garantire stabilità nei prezzi, trasparenza nelle consistenze di magazzino, equa ripartizione dei margini operativi e assenza di fenomeni meramente speculativi».