Il_CeppoMuseo d’Arte Moderna di Bologna dedica a Bruno Pinto un focus all’interno della Collezione Permanente dal 25 aprile al 24 maggio. Venerdì 24 aprile alle ore 18 è previsto un incontro con l’artista alla presenza di Lorenzo  Sassoli  de  Bianchi,  di  Gianfranco Maraniello – rispettivamente Presidente  e  Direttore  dell’Istituzione  Bologna Musei – e del Magnifico Rettore dell’Università di Bologna, Ivano Dionigi.

In  occasione  di  questo  speciale  evento  espositivo, Lorenzo Sassoli de Bianchi  donerà  al  MAMbo  il dipinto Il ceppo (foto allegata), un olio su tela  del 1966, particolarmente significativo nell’evoluzione della ricerca di Pinto.

Nella  sala  sarà visibile, oltre all’opera citata, una selezione di lavori che  spaziano  dal  1953  al  2005,  collocati non casualmente nello stesso spazio che ospita I Funerali di Togliatti di Renato Guttuso, che fu uno dei maestri nelle prime fasi della formazione artistica di Pinto.

Emerge   chiaramente,  ripercorrendo  la  produzione  di  Bruno  Pinto,  la concezione della pittura come via alla conoscenza di sé e modalità di esperire  la  realtà  arrivando  a  comprenderne  le  dinamiche  più  che a rappresentarle.

La  costante  ricerca  di  validi  fondamenti  dell’esistenza  lo  porta  a confrontarsi con ambiti extra artistici, dalla psicoanalisi alla filosofia, dalla  fenomenologia  all’esoterismo, con uno sforzo totalizzante dell’uomo oltre che dell’artista, fino all’ascesi e all’esperienza mistica.

È Pinto stesso a dichiarare, in un’intervista di Paolo Badini nel 2009:

“  (…)  ho  scelto  di  fare il pittore perché con la pratica della pittura confusamente intuivo di poter comprendere il vero significato della Vita.

Per me l’arte della pittura è un lavoro di conoscenza e autoconsapevolezza.

Questa  scelta  mi  ha  anzitutto  obbligato  a non dare credito a pratiche artistiche  già  codificate  nei  confronti delle quali ho sempre avvertito un’inalienabile,  insofferente  avversione  perché istintivamente percepite come  mortificanti  le naturali disposizioni ad un apprendimento consonante con i talenti individuali”.

L’insofferenza   verso   tutto   ciò  che  percepisce  come  eccessivamente

istituzionale spinge Pinto a collocarsi volutamente in una posizione aliena al  sistema  che,  seppur  non  propriamente  rifiutato,  viene considerato estraneo.  Di  qui,  l’abbandono  a  più  riprese  della pratica artistica, talvolta fino all’isolamento dai rapporti umani.

È  proprio uno di questi periodi di radicale allontanamento dalla pittura e dal  contesto sociale e urbano a segnarlo profondamente a porre le basi per la  produzione  artistica  successiva.  Il  soggiorno  a “La Valle”, podere abbandonato  nei dintorni di Arezzo in cui vive tra il 1960 e il 1964, sarà un’esperienza estrema per l’uomo e per l’artista.

Lasciata  La  Valle,  Pinto  si  trasferisce  a  Monteveglio, nei pressi di Bologna,  su consiglio di Giuseppe Dossetti. Qui riprende a dipingere e nel 1966 produce Il ceppo, vero e proprio snodo della sua poetica.

Il  punto  di  vista  (leggermente  dall’alto), la ricchezza cromatica e la composizione  del  dipinto fanno sì che il soggetto appaia come sospeso, in una visione frontale/laterale. Al contempo circonfusa e irradiante luce, la forma contorta e scabra è apparentemente immobile ma in grado di suscitare un senso di vertigine in chi guarda: un corpo che si fa epifania.

Nell’opera  riconosciamo  tratti  che  saranno  caratteristici  di tutta la pittura di Bruno Pinto: l’intensità cromatica, il precario equilibrio delle forme in uno spazio dinamico e instabile, la dialettica figura/sfondo.

Nell’allestimento  al  MAMbo, Il ceppo è affiancato da altri quattro lavori successivi, degli anni Novanta e Duemila, che in qualche modo lo riprendono e  lo  rielaborano.  Ad anticiparli, non solo cronologicamente, troviamo La prima natura morta, un dipinto del 1953 che già mostra una matericità e una densità costruttiva che ritroveremo in seguito.

Completano  il focus, visibile in Collezione fino al 24 maggio 2015, alcuni lavori più recenti e uno slideshow con una selezione di contributi critici.

Vengono  inoltre  proiettati nella Sala Conferenze del museo il 24, 25 e 26 aprile alcuni estratti relativi al progetto di film in 3D Nei territori del Diavolo e Della Grazia, di Eugenio Melloni, produzione ASA Audiovisivi, che vedono  protagonista  l’artista.  Si  tratta  di  un  lungometraggio per la televisione,  il  cinema, l’editoria e il Web, in 3D e 2D. Nei territori si chiede  se  è  ancora possibile oggi avere una visione organica della vita, interpellando   tre  generi  cinematografici:  documentario,  docu-fiction, finzione.  Tre  i  luoghi  e i punti di vista sondati: il mondo del lavoro, quello  dell’arte  e  del  cinema.  Eugenio  Melloni ha un diploma in Regia teatrale.  Come  sceneggiatore  cinematografico  ha  collaborato  con Lucio Lunerti,  Stefano Incerti, Wim Wenders. Per conto della Fondazione Cineteca di   Bologna,   coordina   sul  piano  artistico  il  progetto  di  ricerca sperimentale Il Memofilm, a memoria di uomo.

 

Bruno  Pinto  nasce  il  20 agosto 1935 a Roma. Negli anni della formazione studia  pittura, incisione e tecniche pubblicitarie con Francesco Cretara e frequenta  i  corsi  dell’Accademia  di Francia per poi lavorare brevemente come  pubblicitario  all’American  Advertising  Agency.  In  seguito, anche grazie  al  consiglio di Renato Guttuso con il quale è entrato in contatto, si  dedica  prioritariamente  alla  pittura.  Viaggia  spesso  e  soggiorna all’estero  –  Londra,  Parigi,  il  Sud  della  Francia  – dove stabilisce rapporti  con  Gino  Severini,  Henry Moore, Augustus John – e frequenta il filosofo  Giuseppe  Giovanni  Lanza  del Vasto e il nipote Manfredi, che lo ospitano presso la Communauté de l’Arche, nel sud della Francia. All’inizio degli anni Sessanta intraprende un processo di allontanamento dalla società capitalista  vissuta  come  alienante,  abbandona  la  città  e  l’attività pittorica in favore di una modalità di vita primitiva e isolata, nel podere de “La Valle”. Nel 1964 incontra Don Giuseppe Dossetti, su invito del quale si  trasferisce  nei  pressi  dell’Abbazia  di  Monteveglio (Bologna), dove riprende  a  dipingere  esponendo  in  personali  e collettive, in Italia e all’estero.  La  prima  mostra  personale  di  rilievo è curata da Ludovico Ragghianti nel 1971.

Tra  il  1980  e  il  1982 trascorre diverso tempo a New York, ospite nello studio  dello  scultore  Mark  di  Suvero ed espone alla Sutton Gallery nel 1981.

Dopo  un  lungo  periodo  di  pausa  dalle  mostre,  nel 2003 Bruno Pinto è protagonista  di  una  grande esposizione a cura di Peter Weiermair proprio alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna, poi MAMbo, dal titolo Bruno Pinto.

Dopo il silenzio.

Nel  2005  la  Fondazione  Mazzotta di Milano gli dedica l’antologica Bruno Pinto. Di fronte e attraverso, curata da Pietro Bellasi e Bruno Corà.

Nel  2012  dona  all’Università  di  Bologna  l’opera  La  Cena in Emmaus – Discorsi a tavola (1987).

 

Maggiori informazioni: www.mambo-bologna.org