Mentre Bologna pensa, le multiutility agiscono. Questo potrebbe essere il commento al troppo lungo iter di redazione del Piano Regionale Gestione Rifiuti. Se gli obiettivi dichiarati dal PRGR di prevenzione rifiuti , raccolta differenziata e riduzione degli impianti appaiono condivisibili (ma comunque da migliorare in un’ottica decennale che guarda al 2025), in attesa che la Regione prenda completamente in mano le redini della materia, sugli impianti di smaltimento si giocano partite che bypassano bellamente la narrazione che da oltre due anni viene fatta a livello regionale. Ci si sta attrezzando infatti per fare in modo di garantire la vita degli impianti, attraverso le ipotesi di gestione dei rifiuti speciali, anche provenienti da fuori regione.

L’ultima in ordine di tempo è quella della città di Piacenza che, invece di pensare ad archiviare l’impianto di incenerimento, si candida a veder crescere la sua capacità di bruciare rifiuti. Da una parte, infatti, la ditta Cementirossi ha appena visto ampliare la propria autorizzazione a bruciare rifiuti speciali nel processo produttivo fino a 60.000 t/anno. Dall’altra, IREN ha da poco chiesto di collegare il proprio impianto di incenerimento al sistema di teleriscaldamento, chiedendo contestualmente il superamento dei confini provinciali per alimentare l’impianto, oggi a corto di combustibile grazie all’aumento della raccolta differenziata. Una richiesta che, dietro la scelta solo apparentemente meritevole di ampliare il teleriscaldamento, prevede di autorizzare 180.000 tonnellate di rifiuti tra i due impianti, aumentando la capacità complessiva del sistema, anziché diminuirla, come richiederebbe invece la quantità di rifiuti prodotta in Provincia di Piacenza. Con la conseguenza ultima di rendere di fatto impossibile l’ipotesi di dismettere in futuro l’impianto.

Scendendo a Parma, la partita dell’inceneritore di IREN si è conclusa poco prima dell’avvio del piano regionale, con l’autorizzazione di un impianto di taglia doppia rispetto alla quantità di rifiuti urbani della provincia. Una quantità che, al contrario, continua a diminuire grazie anche alle scelte di raccolta differenziata spinta del Capoluogo. Così, mentre ai cittadini è stato sempre proposto un impianto al servizio della sola provincia, i fatti smentiscono questa ipotesi a pochi mesi dall’accensione dell’impianto.

Per non parlare di Modena, dove, in pieno agosto, si è di fatto attuato un blitz per superare i confini d’ambito. Grazie ad un passaggio del “decreto del fare” del 7 agosto che modificava i coefficienti climatici (indici di efficienza) degli inceneritori, la provincia di Modena, su richiesta di HERA, ha modificato l’autorizzazione relativa all’inceneritore della città che è passato così dalla classificazione di smaltimento a quella di recupero di energia, acquisendo il diritto all’importazione di rifiuti urbani da tutta la Regione e, senza la necessità di nessun ulteriore accordo, anche da tutta Italia. Ipotesi che è stata poi smentita da Comune e Provincia dopo un acceso dibattito interno alla maggioranza, ma che di fatto non modifica il potenziale acquisito giuridicamente dall’impianto, che tra qualche anno, in assenza di rifiuti locali potrebbe tranquillamente andare a ricevere quelli del mercato extra regionale.

Stessa procedura è stata adottata dalla Provincia di Ferrara, che ha eliminato il tetto agli speciali per quanto riguarda l’inceneritore del capoluogo.

A Rimini, nell’impianto di Coriano, la situazione è molto simile alle due precedenti. È in fase di approvazione, infatti, il passaggio dell’impianto a categoria R1, che consentirebbe di classificarlo come impianto con recupero di energia. C’è quindi il rischio di vedere la riapertura della terza linea, attualmente chiusa, con una previsione di aumento della capacità di smaltimento che potrebbe essere autorizzata per 150.000 tonnellate, nonostante la contrarietà degli enti territoriali.

Il cerchio si chiude con il disegno di legge di stabilità 2014, approvato il 15 novembre dal Consiglio dei Ministri, perché all’articolo 23 (il cosiddetto collegato ambiente) viene sancita la creazione di una rete nazionale degli inceneritori, che rischia di vanificare il lavoro di lungo corso della Regione Emilia Romagna volto alla gestione sul proprio territorio della totalità dei rifiuti prodotti.

Sul versante discariche, che secondo le indicazioni della regione dovrebbero smettere completamente di ricevere rifiuti urbani nel 2020, è di queste settimane la giustificata preoccupazione dei cittadini nei dintorni della discarica di Poiatica nel comune montano di Carpineti (Reggio Emilia), che si trovano a fare i conti con una richiesta di ampliamento al 6° lotto di 500.000 tonnellate. Discarica su cui pende ancora in Procura un’inchiesta penale per sversamento del percolato direttamente nel fiume Secchia, come rilevato dalle nostre Guardie Ecologiche.

Legambiente, che aveva giudicato l’impostazione generale del documento preliminare come una positiva novità, comincia quindi a temere che la dilatazione dei tempi nella sua redazione possa servire non tanto a redigere un piano davvero innovativo, quanto a blindare tutti gli interessi sugli impianti già presenti, in contrasto con la normativa europea che indica come prioritario il recupero di materia. Continuando su questa strada, in assenza di un’architettura davvero a favore di una società futura a incenerimento zero, il Piano definitivo potrebbe non essere in grado di contrastare quanto i gestori hanno invece già pianificato e ottenuto.

Per questo chiediamo al Presidente Errani un intervento pubblico immediato che chiarisca i piani della Regione e dia ragione della fiducia che fino ad oggi gli è stata concessa rispetto alla sua volontà di farsi interprete di una nuova visione nella Gestione dei Rifiuti.