Non sono stati ancora liberati gli otto consulenti italiani ostaggi degli operai in sciopero nella fabbrica Cleopatra a Suez, in Egitto. Lo riferiscono fonti vicine all’azienda. Prosegue comunque la trattativa per il loro rilascio. Gli otto tecnici (quattro dei quali provengono dal distretto ceramico sassolese e reggiano, altri dalla Romagna) sono da cinque giorni costretti a rimanere nella sala conferenze dell’azienda, che produce ceramica. In contatto con i famigliari, stanno bene e non sono in pericolo. Tutti quanti sono in trasferta di lavoro in Egitto per Cleopatra, ditta che conta cinquemila dipendenti ed è tra i maggiori produttori di ceramiche al mondo.
«Dopo un primo periodo in cui non ci davano da mangiare e da bere, abbiamo parlato con gli operai che ci tengono in ostaggio e il loro atteggiamento è cambiato, ora ci trattano bene»: è il racconto di Enzo Pellicani, direttore tecnico della Ain Sokhna Cleopatra Ceramics di Suez che con altri sette italiani e due spagnoli è tenuto in ostaggio dagli operai della fabbrica. Al telefono con l’agenzia Adnkronos, Pellicani ha aggiunto di essere «disposto ad aiutare gli operai affinché la fabbrica possa ripartire e si trovi un accordo con il titolare».
Il tecnico ha spiegato che già due mesi fa lui e i suoi colleghi erano stati trattenuti per alcuni giorni dagli operai, che chiedevano «aumenti di salario e condizioni migliori». Un accordo con il titolare dell’azienda, Muhammad Abul Einein, fu raggiunto in fretta e «tutto sembrava risolto, tanto che nessun italiano ha denunciato questo breve episodio».