Ancora un’altra donna è stata uccisa nella nostra città, ancora un nome che si aggiunge all’infinito elenco di morti violente. Come già molte donne e molte associazioni femminili hanno avuto modo di denunciare, in Italia e nel mondo la morte violenta è la prima causa di morte per le giovani donne; non credo dunque servano altri numeri, dati, statistiche, per dimostrare la gravità di questo drammatico fenomeno e l’urgenza di dare una risposta.
Non credo servano altri dibattiti e altre parole per dire che, se la violenza attraversa oggi più di ieri tutta la nostra società, è indubbio che esiste una violenza specifica, con una faccia riconoscibile, rivolta con inaudita crudeltà a una vittima predestinata. Una violenza che paradossalmente non si placa a seguito dell’ampia diffusione che se ne dà ma, al contrario, si allarga come se un fatto di cronaca ne alimentasse un altro per riproduzione o per emulazione. Discipline diverse si sono confrontate sul tema della violenza di genere, ovvero della violenza maschile sulle donne, facendone una lettura epocale, culturale, sociale, addirittura più recentemente legata all’attuale situazione economica. Ognuna delle possibili letture del fenomeno porta alla necessità di una messa in discussione di modelli superati e della conseguente necessità di un cambiamento profondo nelle dinamiche relazionali tra donne e uomini. Mi sento però di dire che ogni processo di educazione e di cambiamento culturale in questo senso, per quanto imprescindibile, è un processo dai tempi lenti.
Se crediamo che a fianco di ogni percorso di educazione e di civilizzazione siano le leggi a cambiare il costume è anche su queste che dobbiamo lavorare. Alcune Regioni hanno varato leggi specifiche contro la violenza alle donne, che hanno riconosciuto la specificità di questo tipo di violenza, e adottato relativi strumenti di intervento.
Intendo far sì che il Consiglio comunale si faccia portavoce delle vittime che subiscono, hanno subito violenza o di quelle che disgraziatamente non hanno più voce, e raccolga i richiami dei centri antiviolenza sparsi su tutto il territorio regionale chiedendo lunedì ai capigruppo di tutti i partiti la sottoscrizione di un ordine del giorno che solleciti la Regione Emilia-Romagna ad approvare rapidamente una specifica legge regionale, come hanno già fatto da alcuni anni la Toscana, la Liguria e le Marche.
Una legge che chiami questo reato con il suo proprio nome, e dunque lo riconosca per quello che è, e che attraverso la diffusione di luoghi che diffondano la cultura della differenza di genere, l’incentivazione dei centri antiviolenza e delle case d’accoglienza, la formazione degli operatori, l’attivazione di progetti di prevenzione, la costituzione della rete interistituzionale e la copertura finanziaria, con ogni mezzo metta un argine ad una piaga non più tollerabile.