«L’introduzione dell’Imposta comunale sugli immobili sulle aree sottoposte ad attività estrattiva non ha alcun riscontro nelle disposizioni normative attuali».
Con queste parole il presidente di Ance Modena Stefano Betti interviene sulle ipotesi di introdurre l’Ici sulle cave. Si tratta di una proposta avanzata da Legambiente che il sindaco di San Cesario ha dichiarato di volere prendere in considerazione, ma è anche una strada che tutti i Comuni in cui si svolgono attività estrattive sono molto interessati a percorrere.
«Che si tratti di una ipotesi non realizzabile lo dicono le leggi dello Stato», afferma Betti. «Infatti, non sono iscrivibili al catasto urbano, e quindi non sono oggetto di relativa rendita catastale, le aree che non risultano parti integranti di una unità immobiliare: è il caso di un terreno adibito a cava».
A conferma di questa impostazione, Betti porta diversi esempi, a cominciare dalla risoluzione dell’Agenzia delle Entrate del 1998 e dall’ordinanza del 2000 della Corte Costituzionale: per questi motivi appare destituita di fondamento giuridico l’applicazione dell’Ici sui terreni adibiti ad attività estrattive.
«La stessa impostazione di ragionamento», conclude Betti, «è stata seguita anche dalla giurisprudenza di merito: prima con la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Ferrara del 2004 e successivamente con quella della Commissione tributaria regionale di Bologna del 2005».
E lapidario è stato anche il parere di Assonime, l’associazione che rappresenta il mondo delle società di capitali e che tra i suoi servizi offre il commento e l’approfondimento dei provvedimenti legislativi e i relativi orientamenti amministrativi e giurisprudenziali. Nel documento pubblicato nel 2009, dopo una approfondita disanima del problema, Assonime conclude: «I terreni adibiti ad attività estrattiva non hanno rilevanza ai fini dell’Ici. Una diversa soluzione si potrebbe avere solo attraverso una legge di modifica o di integrazione di quella vigente».