Due preziosi taccuini dell’architetto Giovanni Battista Piranesi (1720-1778), donati dal marchese Giuseppe Campori al Comune di Modena e in deposito alla Biblioteca Estense, vengono riproposti in un’edizione anastatica curata da Mario Bevilacqua dell’Università di Firenze.

L’operazione è stata realizzata dalla casa editrice Artemide di Roma grazie alla Fondazione Roma, al patrocinio e al contributo del Comune di Modena e della Biblioteca Estense Universitaria, rispettivamente proprietario e custode dei taccuini, della Fondazione Marco Besso di Roma e del Centro Studi sulla Cultura e l’Immagine di Roma.
L’edizione critica dei “Taccuini di Modena” sarà presentata giovedì 2 aprile alle 17.30 alla Biblioteca Estense, in largo sant’Agostino, dall’assessore comunale alla Cultura Mario Lugli, dal direttore generale per i beni librari Maurizio Fallace, dal direttore dell’Estense Luca Bellingeri, dal direttore del Museo civico di Modena Francesca Piccinini, dal Soprintendente per i beni storici, artistici ed etnoantropologici Luigi Ficacci e dal curatore Mario Bevilacqua.


Dopo un primo periodo di studio a Venezia, Giovanni Battista Piranesi si trasferì nel 1740 a Roma, dove rimase fino alla morte, salvo occasionali soggiorni di pochi mesi a Napoli, Venezia, Pompei, Ercolano e Paestum. L’interesse per la topografia e il mondo antico costituirono lo stimolo maggiore alla creazione della sua ricchissima opera grafica. Con la celebrazione dell’arte romana, Piranesi svolse un ruolo di grande rilievo per l’evoluzione del neoclassicismo e il suo tipo di veduta, ricca di effetti pittoreschi, rimase a lungo ineguagliata.
I due taccuini, usciti per la prima volta da Modena in occasione di una mostra che si è svolta al Museo del Corso Roma tra il novembre 2006 e il febbraio 2007, sono costituiti complessivamente da quasi 300 fogli, in gran parte fittamente annotati e disegnati, dai quali emergono non solo la straordinaria fantasia creativa di Piranesi, ma anche i suoi contatti con artisti, intellettuali e stranieri, i percorsi di studio nelle biblioteche romane ricche di materiali grafici, nelle vie e nelle piazze di Roma, tra i monumenti e le rovine dell’antichità, la sua sensibilità per il paesaggio, la natura, gli animali e la figura umana. La molteplicità dei temi e delle occasioni si riflette nella varietà delle tecniche grafiche; tratti liberi e nervosi delle matite rosse e nere negli schizzi veloci realizzati all’aperto, linee più fini a sanguigna, a penna e a inchiostro e cura dei dettagli nei disegni elaborati in studio.


Le annotazioni, che hanno conservato l’originaria correlazione con le immagini, offrono una testimonianza preziosa sull’apporto dell’artista all’elaborazione dei testi che accompagnavano le opere grafiche e alla cui stesura finale, corredata di note e di rimandi eruditi, collaboravano studiosi, letterati e antiquari.


Il primo taccuino, databile agli anni 1747-1750 e iniziato nel periodo del secondo, definitivo rientro a Roma, è interamente autografo di Piranesi. Nei fogli si susseguono decine di schizzi a matita, a sanguigna, a penna e acquerello, che fissano idee, impressioni, luoghi, monumenti, rovine, studi per le piccole “Varie vedute” e per le prime “Vedute di Roma” con appunti tecnici sulla divisione della matrice e della carta, studi di planimetrie e alzati di edifici antichi e di invenzione, studi di piante e animali, rapidi schizzi di figure colte nella quotidianità. Il fitto tessuto di appunti, talvolta caoticamente sovrapposti, comprende note di spese, elenchi di nomi, di stampe, di luoghi e di monumenti visitati o da visitare, di antichità da studiare, rimandi a testi, riflessioni su volumi, percorsi di studio, brani di carattere storico e teorico, commenti e spiegazioni di disegni, nuclei embrionali di opere ambiziose non realizzate.
Nel secondo taccuino, utilizzato dagli inizi degli anni cinquanta del secolo al 1777, parte delle annotazioni e dei disegni sono dovuti ai figli Laura, Angelo e Francesco che, con mansioni diverse, sono coinvolti nell’impresa paterna.
I fogli autografi dell’artista, oltre ad appunti di topografia antica, relativi alla redazione preliminare dei testi delle “Antichità romane” (1756), presentano un gruppo di studi a sanguigna di piedistalli, busti, tripodi, vasi e candelabri che rimandano al fiorente commercio di reperti antichi e oggetti d’arredo, confezionati a partire da frammenti antichi restaurati e assemblati sotto la direzione di Piranesi, che affiancava l’altrettanto fiorente attività dell’officina calcografica gestita dall’artista con grande abilità e spregiudicatezza. Dal 1773 il taccuino è utilizzato dai figli che vi trascrivono orazioni, regole grammaticali, spese personali, note di vendita di incisioni, elenchi di opere con la data di pubblicazione, e tracciano anche disegni costituiti, principalmente, da studi di popolani ritratti in atteggiamenti spontanei.