Politiche attive del lavoro, quando adeguatamente finanziate e implementate, sono in grado non solo di favorire l’occupazione, ma anche di proteggere la salute mentale della popolazione.

Giungono a questa conclusione un gruppo di ricercatori Unimore e dell’Università di Padova che hanno recentemente pubblicato sulla rivista “Social Psychiatry and Psychiatric Epidemiology” (Springer Editore) uno studio riguardante l’impatto delle crisi economiche sul comportamento suicidario dal titolo “Impatto delle crisi economiche sul comportamento suicidario in Italia: il ruolo delle politiche attive del lavoro” (Impact of the economic crises on suicide in Italy: the moderating role of active labor market programs).

Il lavoro porta la firma del dott. Giorgio Mattei (Unimore), Barbara Pistoresi (Unimore) e Roberto De Vogli (Università di Padova).

In particolare, lo studio – sulla scia di precedenti ricerche che hanno mostrato come le politiche attive del lavoro siano in grado di mitigare l’effetto negativo delle crisi economiche sulla salute mentale – ha approfondito il legame tra salute mentale, contesto economico e protezione sociale in Italia nell’arco del periodo 1990-2014.

I parametri utilizzati dai ricercatori si sono rifatti ai dati del tasso di suicidio per determinare la salute mentale, mentre il tasso di disoccupazione nazionale e regionale sono stati utilizzati come indicatore del ciclo economico. È stato inoltre indagato l’effetto specifico che la recente crisi economica può avere avuto sul suicidio in Italia.

Lo studio ha mostrato come dal 1990 al 2014 vi sia stato nel nostro paese un legame tra comportamento suicidario e contesto economico: fasi di contrazione dell’economia caratterizzate da aumento della disoccupazione si associano ad aumento del tasso di suicidio nella popolazione maschile nella fascia di età 25-64 anni e nella popolazione femminile di età compresa tra 55 e 64 anni. Mentre le donne di età compresa tra 35 e 44 anni risultano colpite solo dalle gravi recessioni economiche, diversamente dagli uomini.

“È degno di nota – sottolineano Giorgio Mattei, Barbara Pistoresi e Roberto De Vogli – il fatto che, diversamente dalle attese, il rapporto tra suicidio disoccupazione messo in luce dallo studio non è risultato mitigato delle politiche del lavoro, eccezion fatta per il Centro Italia, nella popolazione maschile di età compresa tra 45 e 54 anni (risultato, questo, che potrebbe comunque risentire delle tecniche statistiche adottate, e che pertanto va interpretato molto cautamente)”.

Gli autori ipotizzano che questo effetto positivo esercitato dalle politiche del lavoro solo su una fascia ristretta di popolazione, e in un’area geografica limitata, potrebbe essere motivato da una spesa complessivamente inadeguata per le politiche attive del lavoro nel nostro paese.

Per quanto riguarda l’effetto protettivo esercitato dalle politiche del lavoro in Centro Italia sulla popolazione maschile di età compresa tra i 45 e 54 anni, gli autori ipotizzano che esso possa essere dovuto a due motivi principali: da un lato, il fatto che la percentuale di frequenza presso i centri per l’impiego in Centro Italia è maggiore rispetto al Nord Italia; dall’altro il fatto che negli anni della crisi economica la riduzione della spesa sociale dovuta alle politiche di austerità introdotte sembra essere stata inferiore in Centro Italia piuttosto che al Nord e al Sud.

Un elemento importante emerso da questo studio è che il mercato del lavoro nazionale sembra avere un impatto più importante sul comportamento suicidario rispetto al mercato del lavoro regionale. “In altri termini, – spiegano gli autori Giorgio Mattei, Barbara Pistoresi e Roberto De Vogli – quando una crisi economica colpisce una regione o una macroregione del paese, essa può non avere un effetto negativo pari a quello di una crisi di portata nazionale, che determina problematiche di tipo psichiatrico che impattano sulla salute mentale e sul comportamento suicidario”.

Lo studio, pertanto, mostra non solo un legame fra suicidio e contesto economico, ma indica che le attuali reti di protezione sociale non sono adeguate e sufficientemente solide per far fronte all’eventualità di una nuova crisi economica.

Giorgio Mattei, Psichiatra, dottorando in Lavoro, sviluppo e innovazione presso la Fondazione Marco Biagi di Modena

Barbara Pistoresi, Professore associato presso l’Università di Modena Reggio Emilia, Dipartimento di Economia Marco Biagi

Roberto De Vogli, Professore associato presso l’Università di Padova, Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione