Le professioni non ordinistiche sono sempre più importanti nell’economia italiana, crescendo a un ritmo ben superiore a quello delle imprese (+3,4%), rappresentando, insieme agli ordinisti (alcuni esempi: i periti, i geometri, i giornalisti…) il 16% del PIL nazionale e, dopo un lungo periodo nel quale sono state considerate un “elemento laterale” del sistema, oggi rivendicano i diritti di tutti gli altri operatori economici.

Ma chi è il professionista non ordinistico? E’ un soggetto munito di partita Iva che, non disponendo di un ordine e di una cassa previdenziale, versa i contributi alla Gestione separata Inps. Questo a grandi linee. In realtà, la categoria comprende professionisti esclusivi (versano la totalità dei contributi in prima persona), professionisti concorrenti (versano la quota prevalente di contributi in prima persona) e collaboratori concorrenti (non versano la quota prevalente di contributi, a carico invece dei committenti). La componente maschile è maggioritaria (57% circa), mentre gli ultra40enni rappresentano il 57,5% della platea totale. Una fotografia che trova riscontro anche nella realtà modenese, con numeri che divergono di pochi decimali da quelli nazionali.

Dalla banca dati Inps emerge che nel 2016 i redditi complessivamente dichiarati sono stati pari a 5,5 miliardi, mentre il reddito medio è ammontato a 16.490 euro (18.571 pro capite per la componente maschile, 13.455 per quella femminile), in calo del 2,4% rispetto al 2015.

Per conoscere meglio questo vero e proprio settore dell’economia nazionale, CNA ha costituito un osservatorio che ha coinvolto 39 professioni diverse, raccogliendo dati in alcuni casi inaspettati. Ad esempio, per ciò che riguarda l’istruzione: quasi il 63% dei professionisti non ordinistici intervistati possiede la laurea, mentre solo il 2% si è fermato alla scuola media inferiore.

Otto professionisti su dieci hanno conseguito titoli per l’esercizio della propria professione. In più del 64% dei casi si tratta di titoli non obbligatori, che dunque vanno a elevare ulteriormente le competenze di questi professionisti. Un requisito che, di fronte alla clientela, dovrebbe fare da solo la differenza con gli abusivi.

Il 74% degli intervistati svolge la propria attività in via prevalente come libero professionista. Il 44,3% svolge anche attività lavorative diverse. Poco meno della metà (46,1%) si avvale di lavoratori dipendenti. Un dato di tutto rilievo, che testimonia la capacità dei professionisti non ordinistici di creare occupazione aggiuntiva e, quindi, la necessità che la categoria venga protetta e non sia ostacolata dalla mala-burocrazia.

Il 70% circa degli intervistati ritiene che le attività professionali siano tassate in maniera eccessiva e il 36,1% ostacolate da un eccesso di burocrazia. Ecco perché, secondo gli intervistati, le soluzioni più impellenti per il settore sono La riduzione dell’aliquota contributiva (89,1%), la deducibilità delle spese di formazione (83,9%) e di certificazione (83,8%), la riorganizzazione della Gestione separata Inps (82,5%) e la tutela della gravidanza e da malattie e infortuni (81,8%).

“Per anni – rimarca Claudia Miglia, portavoce degli oltre 1.200 professionisti associati alla CNA di Modena – siamo stati ai margini delle decisioni politiche. Qualcosa nel 2017, con il cosiddetto  Jobs Act delle professioni, che ha iniziato la costruzione di un sistema di diritti e tutele al pari di ogni altra categoria. Il percorso, però, è ancora lungo e, nonostante nell’ultimo quinquennio siano stati approvati provvedimenti a favore della categoria, il Jobs Act del lavoro autonomo resta un’opera ancora incompiuta”.

Infatti, la legge prevedeva quattro deleghe, tutte scadute, in materia di protezione sociale dei professionisti, allargamento del raggio d’azione delle prestazioni di maternità e semplificazione delle norme su salute e sicurezza”.

“Sono necessari – conclude Miglia – interventi che favoriscano forme di aggregazione e di organizzazione tra i professionisti, una riduzione degli adempimenti burocratici e della pressione fiscale, ma anche di un welfare su misura ed una gestione separata che risponda meglio alle esigenze dei professionisti, con una rimodulazione delle prestazioni previdenziali, che includano anche i momenti di drastica riduzione del lavoro per il professionista”.