Non c’è evidenza scientifica di un fenomeno di inquinamento in atto nella prima falda acquifera sull’area di via Cave Rubbiani e via Montecatini. È questo il risultato delle analisi chimiche effettuate da Arpae sui campioni di acqua prelevati nello scorso mese di maggio dai tecnici del Comune di Modena e della stessa Arpae, sia dai piezometri in area di cava che da quattro pozzi privati della zona interessata.

I risultati delle analisi, che si sono appena concluse, sono contenuti in una lettera che l’Amministrazione comunale di Modena, come si era impegnata a fare nell’incontro avuto con i residenti, ha inviato ai proprietari dei pozzi e a tutti i firmatari della petizione che chiedeva ulteriori esami delle acque dei pozzi privati.

Questi pozzi non sono destinati al prelievo di acque per il consumo umano in quanto l’area è servita dall’acquedotto pubblico che fornisce le necessarie garanzie di potabilità. Dalle analisi emerge comunque che per quanto riguarda gli aspetti sanitari tutti i campioni prelevati dai pozzi rimangono al di sotto dei limiti previsti anche per tale consumo e sono quindi considerate potabili. Sono state rilevate elevate concentrazioni di manganese e di ferro ma, come spiega il dipartimento di Igiene ambientale dell’Ausl, questi elementi naturali sono presenti a livelli non pericolosi anche se possono compromettere le caratteristiche dell’acqua con colorazioni anomale. Non sono state rilevate invece contaminazioni da metalli pesanti e solventi organici organoclorurati.

Per quanto riguarda le analisi di carattere territoriale, il Comune di Modena ha riesaminato le numerose indagini geologiche disponibili sull’area, la documentazione degli studi idrogeologici sulla conoide del fiume Panaro, oltre alle misurazioni del livello dell’acqua sotterranea effettuate in sito. L’indagine ha evidenziato che nei primi 10 metri di profondità esiste una separazione laterale nella falda tra le aree interne ed esterne alla Cassa di espansione, dovuta a un setto artificiale collocato sotto le arginature per evitare sottopressioni idrauliche al manufatto. Dalle numerose stratigrafie consultate risulta inoltre confermata anche la separazione verticale tra i diversi livelli acquiferi presenti grazie a uno strato argilloso continuo e impermeabile che funziona da barriera naturale separando la falda superficiale affiorante nei laghetti di ex cava da quelle più profonde.

In questa zona, infine, il fiume Panaro presenta quote idrauliche più basse del livello delle acque di falda e quindi non alimenta ma drena la falda superficiale e ne richiama il flusso verso l’alveo.