«È un’analisi condivisibile quella che si legge nel Piano faunistico venatorio della Regione Emilia-Romagna, attualmente in fase di definizione, che detterà la linea gestionale dei prossimi cinque anni, ma quali sono i tempi previsti per raggiungere gli obiettivi delineati in modo da mitigare i danni a colture e produzioni oltre che garantire la sicurezza di tutti?».

Se lo chiede Gianni Tosi, presidente di Confagricoltura Emilia-Romagna, ponendo l’accento sulla necessità di fare chiarezza e apportare puntuali modifiche al testo. In primis, «sono troppi 2.500.000 euro annui di risarcimenti (o meglio di contributi) all’agricoltore per danni da fauna selvatica in Emilia Romagna nel 2014 (tra le specie più impattanti c’è il cinghiale seguito dallo storno): significa che le densità faunistiche sono eccessive e che gli strumenti di prevenzione sono stati sicuramente insufficienti. In più tale costo ricade alla fine sui cittadini». Risarcimenti che peraltro, sottolinea il presidente degli imprenditori agricoli, non vengono erogati a tutti i danneggiati.

Occorre anzitutto «individuare nuove modalità di censimento» con verifiche a campione delle densità (in particolare per gli ungulati) ed efficientare il sistema di prevenzione attraverso «uno snellimento delle procedure nell’esecuzione dei piani di controllo». Per lo storno, che è una specie cacciabile in deroga, va resa possibile una drastica riduzione numerica attraverso piani di controllo efficaci e snelli. Quindi bisogna andare avanti, continua il presidente regionale, con lo strumento delle “segnalazioni agricole” ed estenderle a tutte le specie di ungulati in particolare nei territori a bassa e nulla densità (es. caprioli in pianura e daini nel Bosco della Mesola), cioè di fatto al danno sulle coltivazioni deve seguire un’azione sui prelievi; avanti anche con le misure di autodifesa dell’agricoltore (e/o coadiuvante) dal cinghiale come anche da corvidi, piccioni e storni.

Inoltre il piano «non chiarisce il futuro ruolo degli ATC-ambiti territoriali di caccia che dovrà essere di primaria importanza nella realizzazione degli obiettivi del Piano faunistico venatorio: rispetto delle densità e attivazione degli strumenti e delle azioni di controllo su tutte le specie e su tutto il territorio».

Nel documento non si evince con la dovuta chiarezza il soggetto deputato alla prevenzione nelle aree protette e dalle specie protette. «Non è chiaro chi fa e che cosa. L’agricoltore non può continuare ad accollarsi i costi della prevenzione che invece spetterebbero all’ente pubblico: i bandi regionali non bastano e non rispondono alle varie problematiche» dichiara Tosi.

Ma il capitolo davvero irrisolto per l’agricoltore permane il risarcimento del danno, sempre più incerto e inconsistente, vincolato incomprensibilmente al regime del “de minimis” (più ritenute varie) quando si sa che in Italia la selvaggina non è di proprietà dell’agricoltore bensì “proprietà dello Stato”.

«Il successo di un piano faunistico dipende da un sistema di prevenzione efficace in grado di ridurre al minino l’ammontare dei danni, come pure dal controllo delle densità faunistiche sui vari territori» è la conclusione del presidente di Confagricoltura Emilia Romagna.