Puntualmente, con argomentazioni quasi sempre poco documentate e ancor meno veritiere, ogni volta che si parla di prospettive strategiche o riorganizzative riguardanti l’Ospedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia si assiste ad un lancio di frecce che ha come bersaglio l’università, e – pensiamo – anche se talvolta non citata direttamente, l’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia. E’ successo anche di recente nell’intervista rilasciata da un autorevole esponente dell’Anaao – Assomed alla Gazzetta di Reggio il 4 giugno scorso.


Non ci interessa rispondere all’interessato, che in quanto esponente sindacale ed espressione di una categoria professionale, legittimamente – a suo modo di vedere – deve farsi portavoce di disegni e speranze di carriera di colleghi che aspirano a vedersi aprire prospettive di miglioramento economico, e non solo.
Tutto questo non è in alcun modo scandaloso, specie se si accompagna a propositi fondati sul merito di provate competenze e abilità professionali.

Ciò che “stona” nel suo argomentare è l’insistita rivendicazione di un “primato assistenziale” in capo ai medici ospedalieri ed ancor più l’identificazione, perfino “orgogliosa”, dell’Ospedale Santa Maria Nuova come “polo tecnico e tecnologico”, quando invece sarebbe assai più stimolante innalzarne e qualificarne la funzione trasformandolo – come suggerisce l’Assessore regionale alla sanità Giovanni Bissoni – “in qualcosa a metà tra gli ospedali universitari e quelli iperspecializzati, a cui le università attingono senza poter colonizzare niente e nessuno”, riconoscendo ed avvalendosi per il raggiungimento di questo obiettivo dell’instancabile azione innovatrice che è in grado di produrre la ricerca universitaria in campo medico ed assistenziale.

Non si deve dimenticare, infatti, che da qualche anno, grazie al concorso delle Istituzioni locali, Reggio Emilia è diventata sede accademica di corsi di laurea di ambito medico-sanitario, promossi dall’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia. La decisione di istituire corsi di laurea per Infermieri e per Tecnici di Radiologia medica, per immagini e radioterapia, lontani dalla sede della Facoltà di Medicina e Chirurgia e dal suo ospedale elettivo, l’Azienda ospedaliero-universitaria di Modena, ha trovato conforto nella possibilità offertaci di appoggiarci per la parte pratica dei percorsi di studio, indispensabile alla formazione di queste figure, e anche per l’attribuzione di alcuni insegnamenti, alla struttura ed ai medici del Santa Maria Nuova, dove – non c’è dubbio – operano validi ed affermati professionisti in grado di trasmettere utilmente le proprie conoscenze.

Senza questa certezza sarebbe stato impossibile immaginare di radicare attività didattiche in area sanitaria a Reggio Emilia, costringendo gli studenti a seguire le lezioni in questa città per poi svolgere i tirocini a Modena.
Ora, da più parti si vuole, e si insiste, che la presenza universitaria in ambito medico-sanitario a Reggio Emilia si faccia più massiccia. Come Ateneo abbiamo valutato positivamente questa ipotesi, che con l’acquisizione dei padiglioni al San Lazzaro è più concreta, poiché si dispone di spazi sufficienti (aule) anche per la didattica richiesta da nuovi corsi di laurea.

Resta irrisolto ed aperto il nodo dei laboratori, elemento altrettanto indispensabile per far camminare e funzionare l’attività medico-universitaria, che – ricordiamo – esige lo sviluppo in parallelo di iniziative in grado di promuovere ricerca, didattica ed assistenza. Senza una di queste bussole non si avrebbe la crescita di un efficiente ed efficace polo formativo, una preoccupazione che deve essere intesa come un beneficio per tutti, non per una singola parte, e – prima di tutto – per i pazienti.
Come arrivare a questo traguardo è un problema che chiama in causa noi come Ateneo, le Istituzioni locali, ma anche gli operatori sanitari, dai quali ci attenderemmo contributi concreti e propositivi, non l’innalzamento di “ciechi” steccati corporativi.

L’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia mai ha pensato ad operazioni di appropriazione o, come dice qualcuno, di “colonizzazione” dell’Ospedale Santa Maria Nuova. Piuttosto, coerentemente col suo impegno in questa città e come riconoscimento di uno sforzo che stiamo facendo per rilanciare il ruolo ed il prestigio universitario di Reggio Emilia, anche in campo sanitario, facciamo presente alle Istituzioni locali ed alle dirigenze delle strutture ospedaliere la necessità strategica di consentire sbocchi che permettano di valorizzare a pieno quelle attività di ricerca attorno a cui deve ruotare la formazione universitaria dei giovani, che può trovare linfa anche in competenze e capacità espresse dal mondo ospedaliero locale.

Di questa volontà “non asservitrice” l’Ateneo ha già dato prova chiamando ad incarichi universitari operatori sanitari dell’Ospedale Santa Maria Nuova. Lamentiamo, invece, che dall’altra parte non c’è stata e non c’è altrettanta disponibilità ad avvalersi dell’apporto qualitativo e innovativo che l’Università può recare in dote per fare di questo nosocomio non solo un recintato “polo tecnico e tecnologico”, ma soprattutto un avanzato “polo tecnico e tecnologico e di ricerca”, ovvero un centro di sviluppo per nuove conoscenze e metodiche, nell’interesse più ampio della popolazione.

(Il Rettore dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Prof. Gian Carlo Pellacani)