Legambiente Emilia Romagna ha presentato oggi a Bologna la prima ricerca sulla politica ambientale delle strutture sanitarie. Forniti dati di 24 ospedali sui 58 esistenti in regione.

“Questa importante e innovativa ricerca – ha detto Luigi Rambelli, presidente di Legambiente Emilia-Romagna presentando i dati e le elaborazioni – è nata dalla collaborazione fra la nostra associazione e “Health Care Without Harm”.
Si tratta – ha aggiunto Rambelli – del primo tentativo realizzato in Italia per verificare il grado di attenzione ai temi ambientali e all’uso razionale delle risorse idriche ed energetiche negli ospedali della nostra regione (con ampi risvolti sulla spesa sanitaria) in strutture che per dimensioni, caratteristiche ed importanza possono essere equiparati a piccole città. per quanto riguarda l’entità dei consumi energetici, l’uso di acqua, la produzione di rifiuti tossici, infetti e comuni. L’attenzione della ricerca si è rivolta anche ad altri aspetti primari delle strutture sanitarie quali l’entità dell’impiego di antibiotici e le modalità e i costi della gestione della biancheria”.

Ai questionari inviati ai 58 ospedali esistenti nella regione hanno risposto ben 24 strutture. I curatori della ricerca hanno giudicato positivamente questo risultato ed hanno ringraziato dirigenti, funzionari e impiegati delle strutture sanitarie che hanno raccolto e fornito i dati consentendo di compiere un primo passo importante per portare all’attenzione generale un tema che in altri stati è di ordinaria amministrazione da molti anni.

“Agli ospedali – ha detto Massimo Becchi, segretario regionale di Legambiente e uno dei curatori della ricerca – è stato sottoposto un questionario e da queste risposte sono stati ricavati risultati che dimostrano la necessità di approfondire l’esame. I dati – ha continuato Becchi – spaziano dal 2001 al 2003 e costituiscono un quadro sufficiente per una più vasta azione di verifica che permetta anche di avviare veri e propri sistemi di gestione ambientale di strutture di così grande importanza per la salute e l’educazione ambientale dei cittadini. Dalla mole di dati che sono stati forniti emergono risultanze che vanno esaminate oculatamente e dimostrano la sordità dalla dei gestori della sanità all’uso razionale delle risorse (il che conduce a sprechi notevoli) e ad un rapporto equilibrato con le risorse idriche ed energetiche”.

I dati emersi dalla ricerca confermano questa analisi. C’è ad esempio un enorme consumo di acqua: una media di 1.071 litri/giorno per paziente (contro i 200-250 litri/giorno di un normale cittadino e i 415 litri giorno che risultano da analoghe indagini realizzate in altri paesi europei). Legambiente ha ricordato che gran parte dell’acqua che si usa negli ospedali è acqua calda e che un uso razionale della risorsa comporta anche un risparmio energetico considerevole. Va annotata anche la scelta di concedere in appalto le strutture di lavanderia, rinunciando a gestire le risorse direttamente e il ricorso spesso immotivato a materiali usa e getta.

“Tra gli elementi degni di nota – ha commentato ancora Massimo Becchi – appare anche l’uso (o meglio l’abuso) di antibiotici: nel solo 2003 nei 19 ospedali che hanno risposto alle domande si è somministrata una dose di antibiotico al giorno per ogni paziente, (come se ognuno di essi avesse una infezione in atto). Come noto l’uso massiccio di questi farmaci crea forme resistenti di batteri che costringono all’uso di antibiotici sempre più potenti. Buona parte di queste sostanze è poi veicolata in ambiente e, oltre ai costi non trascurabili, genera nel lungo periodo la formazione di batteri sempre più resistenti. Non a caso sono proprio le classi di antibiotici con impatto ambientale più elevato ai fini della resistenza, ad essere le maggiormente utilizzate. Buona parte di queste sostanze non metabolizzate passa poi all’acqua e al suolo tramite le feci, e può favorire nel lungo periodo la formazione di batteri sempre più resistenti. Un’uso più prudente e razionale sembra la strada obbligata per limitare i problemi futuri”.

“Gli ospedali – ha spiegato Massimo Saviotti, esponente di Health Care Without Harm, l’altro curatore dello studio entrando di più nel merito – sono organizzazioni sottoposte a verifiche che assicurano la capacità di fornire un servizio di qualità ma il rango che il tema ambientale ha tuttora in questo sistema di accreditamento è probabilmente ancora molto limitato.
Ne è un esempio la gestione dei rifiuti, che evidenzia volumi di produzione elevati, sia per quelli comuni, sia anche per quelli a potenzialità infettiva, che hanno un costo molto elevato di smaltimento, configurando quindi un doppio problema: rifiuti classificati come infetti senza i requisiti di infettività, e costi di smaltimento molto più elevati. Questo dato si verifica in presenza di una deroga di legge alla registrazione dei rifiuti urbani, che di fatto permette gradi di libertà molto maggiori ed anche gestioni più disinvolte di quanto non vorrebbe un sano criterio di prudenza ambientale, oltre a disincentivare il riciclaggio (come dimostrato dal fatto che gli ospedali avviano a riciclaggio la metà di quanto fa la comunità)”. In effetti come noto i reparti clinici producono una bassissima quantità di rifiuti; quindi gli elevati volumi che risultano a questo studio provengono dai servizi che hanno natura “industriale” e che dovrebbero essere gestiti con criteri adeguati. Questo riscontro pone il tema di una attenzione gestionale insufficiente. Il principale obiettivo associabile a questo primo rapporto è proprio quello di aiutare a stabilire dei “paletti”, che servano a verificare nel tempo la capacità del sistema di gestione sanitaria regionale di migliorare la propria prestazione.

Oltre ai temi della gestione dei rifiuti sanitari questo studio presenta alcuni dati estemporanei, come quello relativo a oltre 43mila termometri rotti ogni anno (oltre 20 ogni 100 ricoveri).
Particolarmente preoccupante è inoltre il dato sui consumi di energia molto più elevati di quanto dichiarato da altri ospedali europei. Le emissioni di CO2 sono almeno 65mila tonnellate nell’anno 2003, configurando quindi una formidabile minaccia ambientale; ciò pone il tema della sostituzione delle fonti di energia di origine fossile con le fonti rinnovabili e in particolare l’energia fotovoltaica applicabile anche ai tetti degli edifici ospedalieri come si fa già in altri paesi dell’Unione Europea.

“Un dato positivo che questo studio raccoglie – è il giudizio finale di Massimo Saviotti per Health Care Without Harm, che come network collaborativo internazionale, è in contatto con le esperienze di altri paesi – è l’inizio di una sensibilità ambientale, almeno in alcune aree influenzando i sistemi di gestione: il caso più eclatante è quello della AUSL di Reggio Emilia, che si è dotata di un sistema di gestione ambientale certificato EMAS, probabilmente il caso più rilevante in Italia insieme con la AUSL di Siena”.