Tre persone sequestrate
in un magazzino da un uomo armato e con la mente confusa. I
carabinieri in forze appostati all’ esterno. Una notte da incubo
nella cittadina della Ferrari, Maranello, dove per nove lunghe
ore si è temuto un epilogo drammatico. Invece è finito tutto
bene, alle quattro del mattino, grazie soprattutto al coraggio e
al lavoro psicologico di carabinieri che hanno rischiato la
vita.

La storia, una di quelle che si vedono nei film, comincia
alle 19. Walter Ferrari, carrozziere, 34 anni, celibe, nato a
Sassuolo entra in un magazzino di materiale idraulico e prende
gli ostaggi. I tre nei primi momenti quasi non gli credono ma lo
stupore si tramuta subito in paura perché Ferrari spara un
colpo di pistola in aria per far capire che quello non è uno
scherzo. Di pistole ne ha due, una calibro 9 e una 7.65 e a
tracolla porta una mitraglietta a colpo singolo. Tutte armi
detenute regolarmente per uso sportivo. Indossa un giubbotto
antiproiettile, un particolare, spiegheranno poi i carabinieri,
che fa presumere a un gesto programmato da tempo. Un gesto però
scaturito da una mente evidentemente disturbata, anche se i
carabinieri non hanno voluto dire una sola parola sulle
motivazioni di Ferrari.

Gli ostaggi sono Maura Pini, 57 anni, moglie del titolare,
suo fratello Vasco, 46, suo figlio Fabio Fontana, 34. “Stavamo
scaricando il furgone e ce lo siamo trovato davanti con due
pistole in pugno. Ha sparato, facendo un buco nel soffitto – è
il racconto di Vasco Pini – e ha cominciato a chiederci cosa
dicevamo di lui in giro. Ci chiedeva le foto e le videocassette
che lo ritraevano. Ci ha detto di andare in fondo al magazzino e
dopo ci ha sempre tenuto le pistole puntate contro. All’ inizio
diceva anche di voler sparare sui passanti”. C’ è da temere
davvero la tragedia. I carabinieri di Maranello arrivano subito.
Il maresciallo Salvatore Bonanno riesce a parlare con Ferrari,
entra nel magazzino rischiando di farsi sparare e lo convince a
rilasciare la donna, sconvolta e ormai in preda ad un malore. E’
il militare a prendere coraggiosamente il posto, come ostaggio,
di Maura Pini.

Intanto parte la strategia dei carabinieri sotto il comando
del colonnello Vito Paparella e del Pm di Modena Marco
Niccolini. Viene costituita una ‘unita’ di gestione della
crisì, e viene attivata nel contempo l’unità specializzata del
gruppo intervento speciale (Gis) dell’Arma che in pochi minuti
arriva a Maranello con due squadre equipaggiate per ogni
evenienza. Ovvero per la trattativa, ma anche per un’ azione di
forza se le situazione dovesse precipitare. L’ unità di crisi
si riunisce in un locale vicino al magazzino, che si trova nella
zona industriale in una strada chiusa in fondo alla quale si
vede un parte dello stabilimento dove nascono le Ferrari. Si
studiano le esperienze precedenti, peraltro molto rare e si
decide per il contatto prolungato con il sequestratore avendo
percepito da parte di Ferrari la disponibilità a trattare.


A far da mediatore è il capitano Gino Troiani che comanda la
compagnia della vicina Sassuolo. E’ lui che entra, con giubbotto
antiproiettile e con quella che i carabiniere chiamano
“aderente copertura” dall’ esterno, a prendere il posto del
maresciallo Bonanno, e a rimanere a lungo con Ferrari che
durante la trattativa si sposta portandosi sempre dietro i due
ostaggi tenuti sotto il tiro delle pistole. Forse anche per
avere migliore possibilità di azione, forse convinto dalle
parole del capitano, quasi quattro ore dopo il sequestro Ferrari
lascia uscire un secondo ostaggio. Anzi lo sceglie: “Vai tu che
hai dei figli”, ha detto a Vasco Pini, la cui moglie è in
attesa del quarto bambino. Così, uscito temporaneamente anche
il capitano, con Ferrari rimane solo Fabio Fontana.
Con l’ uomo armato parla anche il Pm dal cellulare di Troiani
e il comportamento di Ferrari viene poi definito “tranquillo,
quasi razionale”, anche se di tanto in tanto manda segnali di
nervosismo di fronte ai quali il capitano rientra ogni volta nel
magazzino. Nella notte Ferrari chiede anche da mangiare:
cornetti, cioccolata e una bottiglia d’ acqua e domanda a Fabio
Fontana se preferisce una pizza. Ma anche l’ ostaggio,
evidentemente abbastanza calmo per mandar giù qualcosa, sceglie
il cornetto.


Poi la pressione psicologica del capitano Troiani, che
riferendogli le parole del Pm spiega ripetutamente a Ferrari
come possa non aggravare ulteriormente la propria posizione,
completa l’ opera: alle 3.50 Ferrari, sono passate quasi nove
ore dalla sua irruzione, lascia uscire l’ ultimo ostaggio,
consegna all’ ufficiale prima la mitraglietta e poi le pistole e
si lascia arrestare. Nei caricatori ci sono 200 cartucce. Viene
perquisito e si scopre che, a completare l’ arsenale, in tasca
ha anche un coltello a serramanico. I carabinieri “bonificano”
il magazzino accertandosi che non siano stati lasciati esplosivi
o altre trappole e Ferrari viene portato nel carcere di Sant’
Anna a Modena con le accuse di sequestro di persone e porto d’armi abusivo.
In strada con i carabinieri c’ era il fratello di Ferrari e
per molte ore è rimasto anche il sindaco Giancarlo Bertacchini:
“Non ci risulta che Ferrari avesse problemi di disagio
psicologico. Certamente non a livello patologico, e per le
nostre strutture comunali di assistenza era uno sconosciuto. E’
una persona schiva, probabilmente introversa, che nemmeno nel
suo gruppo di amici aveva fatto trapelare i propri problemi. Ma
qui a Maranello non aveva mai fatto parlare di sé. Ora speriamo
di tornare subito a parlare della Ferrari e delle sue vittorie,
più che di altri Ferrari e di altri episodi”. “Grazie al
cielo tutto è finito bene” il commento, molto modesto, del
colonnello Paparella.