Suicida per disperazione, suicida per emulazione. Il ritratto psicologico del kamikaze al Gpl, che
all’alba di ieri si è dato fuoco nella sua auto a mezzo metro dal muro della Sinagoga di Modena, danneggiata dall’esplosione che ne è seguita e che ha gettato nel panico non solo la comunita’
ebraica, è quello di un uomo fallito, in preda a deliri psicotici, che per farla finita ha scelto di morire come i ”martiri” della jihad islamica, ferendo un luogo simbolo.


Stavolta non ci sono morti se non lui, l’immigrato senza
piu’ prospettive che forse ha pensato di vedersi spalancate le
porte del paradiso andando a colpire al cuore il luogo di culto
di una religione percepita come nemica: Al Khatib Muhannad
Shafiq Ahma, 34 anni il prossimo 24 dicembre, nativo di Kuwait City ma giordano di passaporto, ha posto fine a un’esistenza
tormentata in modo clamoroso, senza conseguenze piu’ gravi forse
solo per l’ ora scelta, un quarto d’ ora prima delle cinque di
una fredda e umida mattinata emiliana. Senza lasciare un
biglietto, una spiegazione. Peraltro annunciando piu’ volte il
suicidio: ”Non ce la faccio piu’, ho sbagliato in tutto. Mi
tolgo di mezzo”, ha detto piu’ volte negli ultimi tempi ai
pochi amici, senza essere creduto. L’ultima la scorsa notte,
nella sua abitazione, via Emilia Est, periferia modenese, a un
immigrato che, ha raccontato alla Digos, ha raccolto lo sfogo di
un uomo sdraiato sul letto, completamente vestito, senza pensare
che da li’ a poco si sarebbe ucciso davvero.

Quand’ era ancora buio, Muhannad ha preso la sua Peugeot 205
bianca, si e’ diretto verso il centro della citta’, e’
transitato da Piazza Roma (lo dicono le telecamere cittadine),
davanti all’ Accademia militare, a due passi dalla Ghirlandina,
e ha risalito contromano la via Blasia, stradina che costeggia
la Sinagoga. All’ angolo con Piazza Mazzini, dov’e’ l’ingresso
del tempio ottocentesco, con un’ ultima sgasata che ha attirato
l’attenzione dei poliziotti di guardia, ha frenato. Nell’
abitacolo, forse innescati da un accendino, i primi fumi del
rogo che lo avrebbe fatto esplodere di li’ a poco, dilaniandolo.
Gli agenti hanno gridato: ”Che fai, esci, esci”. Hanno rotto
il vetro posteriore con l’ estintore, ne hanno usato anche un
secondo per spegnere l’ incendio. Inutilmente.
Le fiamme sono divampate, dando cosi’ il tempo agli uomini in
divisa di allontanarsi e salvarsi, ma hanno intaccato l’impianto a gas liquido. La bombola a Gpl e’ esplosa, alla
maniera dei carichi al tritolo di altri kamikaze. Facendo meno
danni, fortunatamente. La vettura si e’ sventrata, i pezzi del
giordano si sono sparsi tutt’ intorno, le finestre e le
saracinesche dei palazzi nel raggio di diversi metri si sono
sventrate, deformandosi all’ esterno, come se l’onda di ritorno
avesse fatto piu’ danni di quella d’ urto.

”Sono stata svegliata dalle grida – ha detto Lucy, che abita
al terzo piano di via Blasia – gli agenti urlavano ‘vieni
fuori’. Ho avuto la prontezza di riflessi di chiudere le
imposte”. Il boato ha svegliato tutti, nella zona, un salotto
cittadino, compresi l’ ex e l’ attuale presidente della
Comunita’ ebraica, Enrico Crema e la moglie Sandra Eckert, due
figli rimasti in Israele dopo il servizio militare. Subito dopo
il solito scenario. Pompieri, polizia, carabinieri, finanza. Le
visite del sindaco, Giuliano Barbolini, del prefetto Italia
Fortunati. E una sola versione: ”E’ stato il gesto disperato di
un disperato”. Meno inquietante di un attentato di Al Qaida.
Piu’ inquietante per la facilita’ con cui un disoccupato,
qualche precedente per rissa, permesso di soggiorno in scadenza
il 14 dicembre, puo’ mettere a repentaglio una Sinagoga.

Tecnicamente, anche se e’ un suicidio, e’ un attentato.
”Come atto dovuto – ha detto il procuratore aggiunto Manfredi
Luongo – ho aperto un fascicolo contro ignoti per attentato a
fini eversivi. Per il 90% e’ solo un gesto di un uomo devastato
che ha scelto di emulare i kamikaze. Per prudenza devo
considerare un 10% di altre ipotesi”, compresa quella che
qualcuno abbia suggerito al giordano come e dove morire: ”Ma
nulla, allo stato, suggerisce presenze esterne. E se voleva fare
una strage avrebbe scelto altri orari”.

Di certo restano i referti dei servizi pubblici di igiene
mentale di Modena, che avevano in cura l’mmigrato, trattato a psicofarmaci, ma da tempo riluttante a farsi aiutare. Fino a
morirne. Creando panico. Ponendo pesanti interrogativi sull’efficacia delle difese contro uomini disposti a tutto.